Nell’economia della conoscenza l’educazione è come l’investimento e la ricerca è il generatore di valore aggiunto che consente di tenere a distanza i concorrenti. Non si compete senza conoscenza, diffusa e generativa. La riprogettazione della scuola deve partire da una visione e concretizzarsi in un piano d’azione.
Le persone e le strutture che ci lavorano sono straordinariamente importanti. Per aiutarle occorre riuscire a condividere un modo di vedere innovativo.
Innanzitutto prendiamo atto che l’educazione non è una dimensione limitata al mondo della scuola, ma avviene nel corso di tutta l’esistenza. Dunque non hanno senso le progettazioni autoreferenziali che non si confrontano con il contesto nel quale la scuola vive e si sviluppa. Inoltre, non hanno senso le concezioni che pensano alla scuola come a un erogatore di servizi a fronte del pagamento che le famiglie e le imprese sono chiamate a erogare in forma di tasse di vario genere. La crisi della relazione tra la scuola e il resto della società è profonda, legata alla grande trasformazione in atto, alla quale sia la scuola che le famiglie e le imprese arrivano dopo decenni di sfruttamento. I docenti hanno subito un attacco concentrico che ne ha abbattuto il prestigio e il tenore di vita, segregandoli in una parte della società meno patinata di quella proposta dalla televisione: la banalità del male consumistico, con la sua proposta di scorciatoie per il benessere, si è abbattuta sull’impegno richiesto dalla scuola demotivando molti. Nello stesso tempo, famiglie e imprese hanno subito una pressione fiscale sempre più significativa limitando la loro volontà di partecipare attivamente all’educazione pubblica e casomai costringendo a investimenti in educazione particolaristici, orientati alle skills dei figli o dei dipendenti ma non al miglioramento delle opportunità per l’insieme della società.
In secondo luogo, teniamo conto che parlare di educazione significa distinguere tra addestramento, istruzione e formazione. Prendiamo atto che nella nuova società della conoscenza il grande successo è valorizzare i talenti di tutti, nelle loro diversità e peculiarità. E che la valorizzazione dei talenti richiede connessione con la società nel suo insieme, perché è nella complessità della vita sociale che ciascuno può scoprire i propri talenti, esprimerli ed essere riconosciuto.
L’addestramento riguarda il saper fare. L’istruzione riguarda le conoscenze intellettuali di base. La formazione è la maturazione della personalità nel suo insieme in relazione al contesto. I talenti si valorizzano solo in relazione alle diverse opportunità offerte dalla vita sociale ed esistono se si scoprono, si esprimono e sono riconosciuti.
Tutto questo abbatte concettualmente le tradizionali barriere tra scuola e resto della società. Ma come si riparte da qui?
La nuova didattica, la formazione dei docenti, la gamification dei metodi, sono elementi della soluzione. Ma vanno rivalutate le connessioni alla vita sociale.
Per esempio, riconoscendo che la struttura mediatica sulla quale avviene l’educazione non è solo chiusa nelle quattro mura della scuola e nei libri di testo. La guida dei docenti si rivaluta in relazione alla sua capacità di interpretazione dei saperi in relazione alla società, al suo passato e al suo futuro. E’ possibile ripensare la piattaforma dell’educazione. Gli algoritmi di base vanno ripensati: non è più vero che la regola d’oro a scuola è “non sbagliare” rispondendo alle domande del docente. E’ vero piuttosto che vanno rigenerati nuovi algoritmi che sviluppino le forme di apprendimento che avvengono per imitazione, per memorizzazione e per sperimentazione. Il nuovo algoritmo, dunque, è che in alcuni casi, si può sbagliare, purché si faccia esperienza. E poi la gamification introduce tutta una nuova serie di algoritmi, che tra l’altro prevedono la collaborazione, spesso, o talvolta addirittura la copiatura (specialmente nel caso dell’apprendimento del software).
Tutto questo non si risolve in un colpo solo. Anzi. Probabilmente si svolgerà attraverso una quantità di progetti che vedano la partecipazione di diversi elementi della scuola, della società, delle imprese, delle famiglie. Questi progetti potrebbero essere incentivati.
Si può creare uno spazio incentivante per questi progetti, un po’ come è stato fatto per le startup. Un ambiente liberato da eccessi di burocrazia e fisco che favorisca la progettualità. Accompagnato da una piattaforma nella quale i progetti vengono comunicati: obiettivi, strumenti, risultati. In modo che in chiave di mutuo soccorso chi lancia i nuovi progetti possa contare sull’esperienza di chi ne ha lanciati di simili in passato.
Il paese può pensare all’educazione come una grande piattaforma che acceleri le iniziative progettuali orientate alle funzioni dell’apprendimento, dell’istruzione, della formazione. In un’ottica aperta alle diversità. Per valorizzare i talenti. A partire da quelli compressi, spesso ingiustamente, dei docenti. E per favorire le famiglie e le imprese che contribuiscono. Imho.
questo mio recente articolo mi sembra in tema
http://www.fabriziocapanna.com/investire-istruzione-conviene-per-tutti/
Caro Luca,
condivido parola per parola il contenuto del tuo post.
Se me lo consenti, vorrei usarlo come ‘Manifesto’ per ‘DIDASCA – The First Italian Cyber Schools for Lifelong Learning’.
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Silverio Carugo
ciao! il lavoro che svolgo sul blog è in creative commons proprio perché spero che chi lo trova utile lo riutilizzi e quindi rispondo: certo, grazie!
Grazie Luca per queste riflessioni che sento urgenti come genitore appassionata di tecnologia, di libri, di web e di social. Credo che la scuola abbia una importante opportunità proprio nella rete, ma deve cambiare approccio e metodi didattici. Quando ho comprato le letture estive obbligatorie della mia giovane “ragazza” di 12 anni non ho potuto che inorridire nel notare che erano gli stessi testi che avevano consigliato a me alla sua età. Se pensi che già allora li avevo trovato datati e assolutamente non contagiosi del sacro fuoco della lettura. E non ti dico quanti anni sono passati … Come si fa? Non lo so, ma i nostri ragazzi leggono e tanto sono sempre connessi e in rete trovano ogni tipo di stimolo e informazione. Sento però fortissima l’esigenza che qualcuno li porti verso una cultura dello “slow reading” che si può fare, forse, meglio sui libri. Rallentare il loro pensiero e tenerli fermi davanti a un testo lungo più di un post di Facebook. Perdersi nelle pagine di un libro credo sia un’abitudine che rischia l’estinzione. La società ha una responsabilità immane che è quella di rendere Cool la lettura … La scuola non ci sta riuscendo, tocca a imprese, influencer, scrittori, artisti, musicisti, attori famosi … Personaggi a cui i giovani riconoscono una leadership culturale. Spetta loro giocare questa partita. Quanto alle piattaforme credo che i social network possano giocare un ruolo importante come hanno fatto con il second screen, riuscendo a catalizzare una nuova attenzione verso le Tv mainstream. Voi giornalisti anche potete giocare il ruolo di abilitatori e amplificatori … La partita è comune, affascinante e anche urgente! Come la vedi?
[…] Difficile non considerare la crisi tra scuola e società, si tratta di una crisi profonda che confina le aule scolastiche ad un ruolo marginale nella crescita del paese. Luca De Biase nel suo blog analizza le difficoltà di dialogo e relazione della scuola di oggi con il mondo esterno e tenta di raccogliere e descrivere diversi strumenti a disposizione per provare ad abbattere ostacoli e criticità, donare alla scuola una posizione centrale e allo stesso rivalutare le connessioni con il tessuto sociale. Leggi il post! […]
[…] consapevoli e soprattutto inconsce sulla comunicazione sociale, come incentivare e favorire quella educazione che in un bellissimo post Luca De Biase indicava come “dimensione della vita”. […]