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Crap detector – Il sensore di boiate

«Ogni persona dovrebbe avere impiantato un sensore di boiate automatico funzionante. E magari anche un trapano e una manovella nel caso che la macchina si rompa». Ernest Hemingway ovviamente lo diceva molto meglio in inglese: «Every man should have a built-in automatic crap detector operating inside him. It also should have a manual drill and a crank handle in case the machine breaks down». Il riconoscitore di boiate è essenziale: per uno scrittore e per ogni persona che intenda essere l’autore della sua vita. (l’intervista sul “crap detector”, di Robert Manning a Hemingway era su The Atlantic, 1965)

Giustamente, nel 1969, Niel Postman, co-autore di Teaching as a subversive activity (qui un pdf libero), riprendeva la frase di Heminway per spiegare quale fosse il ruolo dell’educazione in un’epoca che non poteva permettersi di non coltivare il pensiero critico: il suo metodo di insegnamento tendeva a indurre all’apprendimento critico i ragazzi attraverso un percorso di lezioni a base soprattutto di domande. Qui un discorso di Postman. (Peraltro non esiste un’epoca in cui ci si possa permettere di non colvitare il pensiero critico e Nathan Gilmour propone una piccola bibliografia storica in materia di crap detection). A TED alcuni speech sono orientati a discutere e sostenere il pensiero critico.

E Howard Rheingold offre una serie di consigli pratici per riconoscere le boiate e alimentare il crap detector quando si consulta quello che è pubblicato in rete. Rheingold è chiaramente un grande sostenitore dell’innovazione provocata dalla rete, ma non si nasconde la quantità di spazzatura culturale che contiene. E anzi, proprio per proteggere la rete da un’involuzione che la renderebbe praticamente inutilizzabile, Rheingold propone di diffondere un sistema di crap detection sempre più diffuso. Che parte da noi e dalla nostra capacità di apprenderne e scambiarne i rudimenti fondamentali. (È bello questo argomento, perché è serio, ma chiunque se ne occupi, Hemingway per primo, scrive con una bella dose di ironia). «L’inquinamento online è enorme, ma risolvibile» dice Rheingold. I principi fondamentali per riconoscere le pagine web credibili e quelle che sono fondamentalmente boiate):
1. Chiediti chi è l’autore (se non c’è autore l’indicatore del crap detector sale molto)
2. Quando trovi l’autore vedi che cosa ha fatto in passato e che cosa ne dicono gli altri (ma cerca di qualificare anche questi altri che dicono qualcosa di lui)
3. Valuta il design del sito (mica deve essere superavanzato, ma se è troppo, troppo amatoriale può indicare un autore troppo solitario per essere davvero attendibile)
4. Vedi se l’autore offre documenti e link per attestare quello che afferma
5. Cerca se altri hanno linkato e citato questa pagina (e se l’hanno condivisa su posti come Delicious)
6. Non sei paranoico se sospetti che qualche sito sia fatto apposta per imbrogliarti
7. La regola generale è: triangola, fai verifiche. Se per esempio ti occupi di questioni di ricerca o scientifiche, prova a cercare l’autore anche nelle pubblicazioni che tengono traccia della conoscenza da lui generata (Rheingold cita: «use the scholarly productivity index that derives a score from the scholar’s publications, citations by other scholars, grants, honors, and awards. If you want to get even more serious, download a free copy of Publish or Perish software, which analyzes scientific citations from Google Scholar according to multiple criteria.»)

Rheingold fa molti altri esempi e cita diversi altre letture da fare per sviluppare un buon crap detector. Tra questi: John McManus per identificare il giornalismo affetto da partigianeria; Snopes per riconoscere le leggende metropolitane; e Factchecked.org, di Annenberg.

In italiano, sappiamo naturalmente del grande lavoro che fa Attivissimo. Nel nostro contesto, probabilmente siamo dotati di un termometro del crap detector che segna sempre qualche cosa vicino al massimo: ma il sospetto e la malfidenza sono talmente costanti da diventare scetticismo e cinismo. Finisce che non crediamo a niente, neanche a noi stessi. Sarebbe meglio fare di più per individuare le boiate con metodo e costanza, in modo da distinguere anche le buone idee. E valorizzarle. Per essere autori della nostra vita, dobbiamo riconoscere le boiate. E poi sviluppare le buone idee. Fare migliori servizi di documentazione delle boiate e un’ottima idea. Imho.

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  • grazie del pdf, lo leggerò con interesse.
    Sulle boiate, di cui veniamo ricoperti a ogni pie’ sospinto: sto leggendo
    Robert B. Cialdini, Le armi della persuasione: come e perché si finisce col dire sì, Giunti
    Sembra il titolo di un manuale per venditori, ma è un serissimo (e fortunatamente pure piacevolissimo) testo di psicologia sociale. Lo segnalava qualche tempo fa Luisa Carrada sul suo blog. In libreria non l’ho trovato, l’ho preso in prestito alla biblioteca.

  • Parole sante Luca,
    spesso basta un po’ di preparazione e retaggio accademico per capire che prima di parlare bisogna documentarsi e dalle fonti giuste.
    S.

  • Tosto Rheingold.. Il problema Luca è che se uno dovesse verificare le pubblicazioni scientifiche, con l’indice delle citazioni e altri sistemi di ranking, alla fin fine premia sempre l’anzianità. E questo, pur assicurando garanzie, lo fa ad un prezzo troppo alto. Oggi proprio stavo cercando con lo Scholar chi erano i coautori di un testo, il quale è attualmente considerato uno dei più autorevoli sul new pubblic management. Almeno sotto altri criteri, per esempio che il terzo autore è riconosciuto esperto, parte della stessa commissione del ministero (Luciano Hinna). Gli altri due autori pressoché sconosciuti per il ranking on line (tre soli link). Sono ricercatori giovanissimi? Fanno letteratura grigia? Sono professionisti con competenze nella zona d’ombra che esce dai consuetudinari criteri, ovvero la visibilità? Possono essere anche amici e incompetenti certo, cooptati su altre basi che non sono il merito.. Di certo è difficilmente liquidabile il discorso con i sistemi di ranking scientifici, altrimenti i due ipotetici esperti, quantomeno per criteri di legame con l’autore principale, presi a se stanti sarebbero nulli.
    E’ che in tutti questi casi (credo non anomali statisticamente), che per loro peculiarità intrinseca privilegia la reputazione su base storica, esclude a priori l’innovazione, quella in particolare modo basata sulle nuove proposte, che il sistema reputazionale assumerebbe troppo tardi. Indubbiamente questo discorso è più riferito all’ambito della ricerca scientifica, che ha tempi di emersione diversi rispetto a quelli con cui trasale la pluralità di fonti nel web. Per chi ha la responsabilità del lavoro giornalistico la bullshit è sempre in agguato certo, ma questa è un altra storia. Come altra ancora è quella di chi si beve tutto senza neanche sapere il chi ma solo per autoconfermarsi. Ma credo sia molto più importante preoccuparsi di far trasalire verità scomode e rischiose che controllare quante stronzate si bevono chi è alcolizzato.

  • E’ fondamentale e indispensabile avere sempre acceso un ‘crap detection device’ mentre leggiamo, mentre ascoltiamo, e anche mentre parliamo.
    Segnalo una pagina per me molto importante, in merito alla valutazione delle fonti, scritta da un amico che non c’è più e che ora probabilmente si diverte ad analizzare le nuvole.
    Il primo riferimento è riferito a lezioni di retorica a cui assistette, negli anni 70.
    http://www.searchlores.org/evaluate.htm
    Il secondo riferimento è una collezione di documenti sul “reality cracking” come lui indicava la facoltà di decodificare la realtà, estraendo i fatti dalle opinioni. È una serie di saggi più o meno interessanti, scritti da tante persone nel corso di circa 10 anni.
    http://www.searchlores.org/realicra/realicra.htm
    L’amico in questione si faceva chiamare Fravia.
    Averlo incontrato, nel 1996, ha cambiato la mia vita.
    Buona lettura.
    Buon cambiamento.
    Impariamo assieme e costruiamo il futuro che ci meritiamo.
    @mgua

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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