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Ahref propone Timu: per fare squadra nell’informazione civile

Sarebbe bello se ci fosse un modo per condividere informazioni senza cedere i contenuti alle piattaforme che usiamo, se l’indirizzo sul quale pubblichiamo restasse di nostra proprietà, se il metodo con il quale pubblichiamo fosse discusso e migliorato insieme, se potessimo imparare a fare meglio quello che vogliamo fare, se ci fosse un modo per lanciare iniziative di ricerca di informazione da fare insieme e, magari, essere premiati per la qualità di quello che facciamo… Sarebbe bello, dunque, perché non tentare di farlo? Il tentativo proposto dalla Fondazione Ahref si chiama Timu. Ho contribuito anch’io a immaginarlo. E una squadra di studiosi, programmatori, esperti ed entusiasti lo ha realizzato. Sarebbe bello che chi passa da questo blog si interessasse all’idea e volesse dedicasse un po’ di tempo a vedere se funziona, se può servire, come può migliorare. Come ogni beta Timu può migliorare solo attraverso una bella pratica di proposte, feedback, miglioramenti, e così via.

Di che si tratta?

I media sociali sono una grande occasione di rinnovamento del modo di informarsi e fare informazione. E il bello dei media sociali è che a loro volta non cessano di rinnovarsi. Fanno venire voglia di contribuire, magari di partecipare al processo dell’innovazione. Fanno venire in mente: “posso farlo anch’io?”. Di solito la risposta è “sì”.

Prima di tutto, sono le persone che li usano a creare le maggiori novità. Anche in Italia. La vicenda dei recenti referendum ha dimostrato che la rete riesce a informare e contare molto nel panorame dell’informazione:
il quorum è stato raggiunto per il grande lavoro che è stato fatto da
tantissime persone in rete, con l’appoggio di alcuni
importanti giornali, ma non certo per l’informazione proposta dalla
televisione.

In secondo luogo, il rinnovamento viene dalle piattaforme. Che a loro volta non cessano di innovare. Se ne dibatte spesso. E ce n’è bisogno. Perché si possono usare un po’ meglio se si comprende come funzionano. E perché ci sono un sacco di cose che si possono migliorare.

Si parla molto di privacy, di modelli di business, di strategie delle grandi aziende e di opportunità per le piccole aziende o per i professionisti. C’è un tema che resta meno discusso di altri: gli incentivi impliciti nelle piattaforme.

Le piattaforme, proprio per come sono disegnate, contengono un insieme di incentivi, cioè favoriscono certi comportamenti piuttosto che altri. Si direbbe che, per esempio, Wikipedia sia disegnata in modo da favorire la collaborazione alla realizzazione di un progetto comune; mentre, per esempio, Facebook sia disegnata in modo da favorire l’incontro e il riconoscimento tra le singole persone, sottolineando i loro progetti e le loro curiosità personali più che un progetto comune. Quora e Ted Conversations sono disegnate in modo da favorire comportamenti seri e collaborativi, anche se non dichiarano un progetto specifico come quello di Wikipedia. Twitter sembra soprattutto orientata (e orientante) allo scambio di link di attualità, anche se non è certo solo questo.

Questi incentivi impliciti nel loro design funzionano anche quando le piattaforme sono usate per fare informazione. Il che ha delle conseguenze. Il metodo Wikipedia non ha funzionato tantissimo per l’attualità. Facebook ha un grandissimo impatto sul traffico dei giornali online, ma non sembra orientata a fare emergere un’agenda comune: piuttosto sembra favorire la moltiplicazione delle proposte di agenda. O sbaglio? Twitter va veloce e sembra fantastica per l’immediatezza dei messaggi, ma ovviamente non è fatta per gli approfondimenti che richiedono spazio e tempo: di solito ci si trova la novità ma poi si va a cercare di capire di più sui siti e i blog di informazione.

Molti temono che nella fretta delle attività che si svolgono sui social network si perda di vista la distinzione tra ciò che è informazione e ciò che è comunicazione. E soprattutto che si tenda a stare nei luoghi della rete più facilmente comprensibili, nei quali le persone la pensano in modo omogeneo. E che quindi si formino gruppi di interessi separati. Qualche volta persino ideologicamente separati. Ovviamente ciascuno può interpretare l’opportunità della rete come vuole e secondo le sue sensibilità. Ma sarebbe un’occasione sprecata non tentare di costruire qualcosa che invece incentivi a incontrare le altre persone e a collaborare con loro non in base agli interessi e alle ideologie ma a piccoli o grandi progetti di informazione da mettere in comune per obiettivi civili.

La rete è nata da un insieme di culture orientate alla collaborazione. Si sa che i militari l’hanno finanziata all’inizio, ma si sa anche che le prime applicazioni vere sono state portate avanti dagli scienziati. E gli scienziati partono – quasi sempre – da quella meravigliosa cultura della condivisione, da quell’idea che la ricerca vada avanti correttamente e creativamente solo se ci si scambiano i risultati degli esperimenti, solo se ci si critica in base a un metodo comune. Senza farne una questione personale, perché in fondo si lavora – si dovrebbe lavorare – per l’avanzamento della conoscenza di tutti.

Alla cultura degli scienziati si è unita fin dalle origini della rete la cultura degli hacker orientati a comprendere e innovare le macchine in modo da favorire la collaborazione e lo scambio di risorse. Inoltre, in quella cultura si è sviluppato il valore di “fare qualcosa” senza subire passivamente l’andazzo generale. Infine, la pratica del lavoro nell’open source è riuscita a far crescere un insieme di tecniche per il miglioramento della qualità complessiva dei prodotti che emergevano dalla collaborazione.

Gli economisti dei beni comuni, i giuristi dei creative commons, hanno poi aggiunto consapevolezza sulle forme con le quali il diritto d’autore e le altre nozioni collegate alla produzioni di contenuti possono essere orientate verso la collaborazione.

Quelle culture originarie hanno influenzato molto anche i modi con i quali gli utenti hanno lavorato all’informazione. I blogger hanno imparato subito a citarsi vicendevolmente per riconoscere il lavoro fatto dagli altri, in nome della crescita dell’informazione di tutti.

Certo, l’impetuosa crescita dell’uso della rete, ha qualche volta messo in secondo piano queste istanze, a favore di altre finalità perfettamente legittime: il successo commeciale, la notorietà, la promozione di movimenti, l’aggregazione di comunità di interessi, e così via. Di certo, non è passato di moda il senso della collaborazione, ma vale la pena, ogni tanto di ribadirlo.

La collaborazione nella produzione di informazione si può basare soltanto su un metodo condiviso. E anche questo metodo va ogni tanto ribadito. Soprattutto nell’ambito dei civic media usati dai cittadini.

Non occorre molto, probabilmente. Il metodo che distingue l’informazione dalla comunicazione generica, in
fondo, può avere una formulazione relativamente semplice: chi vuole che la sua informazione
serva con una certa qualità verificabile in nome della collaborazione tenta di solito di produrla con
accuratezza, indipendenza, imparzialità e legalità.

Perché non dichiararlo esplicitamente? Per farlo si può anche pubblicare un’icona tipo quella che si trova anche in questo blog in basso a sinistra, vicino all’icona di Creative Commons. È una delle possibilità che si aprono usando Timu. Che è una beta. E ha bisogno di feedback. (L’icona stessa è in elaborazione…).

Il 15 settembre ne parlo al MediaLab con il gruppo Civic Media col magico Ethan Zuckerman. Spero di andarci con un bagaglio di esperienza, reazioni, consigli…

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  • A primo impatto, io che non ho inchieste da fare, lo userei per pubblicare il materiale della mia tesi di laurea. Non si tratta di inchieste, ma molti lavori magari meno quantitativi e più qualitativi di ricerca, potrebbero trovare comodo questo strumento di condivisione dei materiali prodotti e raccolti come interviste, risultati di focus groups ecc.

  • Interessante! mi iscrivo e presto ti mando notizie di un’altra interessante piattaforma nata con il mondo delle ong!
    A presto

  • I’m an American living in Italy with a 12 year old daughter. With a bit more time on my hands this summer, I’ve found wonderful resources in English: down to earth videos and examples that defy the complexity of her textbook explanations, and moreover stimulate her interest and a pro-active approach to learning.
    In the social media community we generate so much for our own use, yet somehow, we haven’t created the connection with our youth. Some of the video testimonies I watched on Timu were heartbreaking. I’ll be following and sharing the Timu initiative. Wish my Italian were better…I’d love to contribute as well. Thanks.

  • Grazie and thanks a lot! la creatività dell’utilizzo è la ricchezza di una piattaforma, grazie ancora! no worries for not writing in Italian 🙂 you are right, Susan: we really need to improve the social media space in a way that better connects those that share a project and that pursue a social purpose… thanks again..

  • Ne avevi accennato a Firenze, il ritrovarsi inrorno ad un metodo che genera, se ho ben capito, etica nell’informazione. Io mi occupo , anche in maniera non diretta, di comunicazione sociale dove oltre la grafica, c’è bisogno di verificare i contenuti, forse Timu potrebbe servire anche a questo?

  • Quando tornerai dal MediaLab, vorrei mostrarti un progetto sulla trasparenza amministrativa che stò finendo di formulare per conto dell’Ance di Confindustria. Ad ora mancano alcune specificazioni da sottoporre al direttivo, anche se la parte ostica riguarda piuttosto le stazioni appaltanti.
    L’ambizione che ha il progetto è anche quella di dirimere i molti conflitti di interesse, a cui chiaramente io stesso non posso esimermi.
    Per gestire la conflittualità degli interessi è stata coinvolta Cittadinanzattiva onlus, che fungerà da riscontro di terza parte delle decisioni di merito e ora da revisione progettuale su obiettivi e strumenti giuridici operativi per raggiungerli.
    L’obiettivo prende in carico la definizione dei criteri di accountability nelle procedure di pubblic procurement, cercando di ponderare i maggiori trade off che caratterizzano gli appalti pubblici e che possono inficiare sia la correttezza dell’azione amministrativa che le chance delle imprese migliori.
    Per questo sarebbe interessante che nell’ambito del coinvolgimento dei portatori di interesse, possa trovare spazio l’istanza che emerge dai cittadini stessi, che nel progetto è delineata nelle attività di segnalazione.
    Cercherò di essere più dettagliato appena vengono chiariti gli ultimi aspetti. Spero anche che possa essere conforme agli scopi di Timu e apportare un contributo a quel principio che non ha trovato fondamento costituzionale: l’essere informati come base del buon andamento dell’azione amministrativa.
    Emanuele De Candia

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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