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Se vuoi la pace, prepara la pace

Ok. La guerra c’è. E ci si prepara costantemente. Il motto “si vis pacem, para bellum” è talmente vecchio che i governi lo hanno imparato. Ma preparare la pace sembra più difficile. “Si vis pacem, para pacem”.

La considerazione nasce nell’ambito della preparazione per la conduzione di una sessione di lavori allo StsForum di Kyoto, dedicata alla guerra elettronica. Ci saranno, tra gli altri, Atul Asthana, vicepresidente Global Standards della Rim, e Jay Cohen, partner di Chertoff Group, ex funzionario del governo americano per la sicurezza online.

La Rim ha fatto qualche esperienza, recentemente, in materia di sicurezza degli stati. Dalla questione del Blackberry di Obama, alle preoccupazioni degli Emirati e dell’India sulla struttura dei server che gestiscono la posta su quella piattaforma e che sfuggono al controllo degli stati stessi. Gli Stati Uniti stanno passando per un processo decisionale piuttosto complesso per arrivare a definire che esiste un corpo dell’aviazione che si occupa della guerra elettronica. E naturalmente hanno un’elaborazione piuttosto significativa in materia. Come del resto la Russia, la Cina e altri.

La distanza tra le “forze armate” degli stati e quelle delle organizzazioni criminali o terroristiche in questa guerra nello spazio elettronico è minore di quella che si riscontra altrove, ovviamente. E poiché – come dice Moises Naim – le organizzazioni criminali sono quelle che stanno crescendo di più in questa fase geopolitica, questo non è incoraggiante.

Ma è chiaro che c’è un trade off tra sicurezza nazionale e diritti dei cittadini. E che le innovazioni che si possono realizzare per difendere gli stati, prevenire attacchi, conoscere le mosse degli avversari, mettere in difficoltà gli avversari sono ancora tutte da definire.

Del resto, internet era nata anche da esigenze militari.

Ma come si prepara questa guerra in modo che possa preparare anche la pace? Suggerimenti per approfondimenti, a parte Wikipedia?

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  • Il p2p. La disintermediazione.
    Recentemente ho letto una citazione: se non lo paghi, allora quello non è il prodotto: il prodotto sei tu e ti stanno vendendo.
    Questo vale on line ma valeva anche per la tv.
    A ridosso dell’ondata della crisi immobiliare, le troupe andavano a riprendere le tendopoli di homeless che si costituivano alle periferie delle grandi città americane e gli intervistati, riferivano alcuni bloggers, eranp perplessi. Le tv facevano le domande sbagliate, tutte concentrate sull’hype del momento.
    La perdita del senso, secondo me, è un nostro problema.
    Lo spot di Telecom mostrava Ghandi e altri leader e poi la voce fuori campo diceva “se avessero potuto comunicare”
    Oggi i leader potenziali non possono comunicare lo stesso.
    La partecipazione degli utenti alla attività di distribuzione, e alla selezione dal basso dei contenuti, secondo me, è una chiave fondamentale per preparare la pace.
    Perché demistifica la comunicazione disintermediata e perché fondandosi su un modello economico diverso da quello degli inserzionisti, propone processi e significati diversi, meno facili e più significativi.
    Combattendo l’alienazione e la perdita del senso.
    Le cose alla Boxee sono un passaggio. L’integrazione col p2p sarebbe il successivo.
    Va bene, mancano ancora i micropagamenti e forse la locuzione “perdita del senso” andrebbe documentata meglio
    Ma secondo me questo è un elemento centrale.
    Distribuire il task dell’agenda setting. E’ la conseguenza chiave della distribuzione del task della distribuzione 😉
    Ed è, secondo me, la speranza.
    Augh ! Ho detto !

  • Ammetto che il mio discorso faceva riferimento non alla storia dall’inizio dei tempi, ma solo al periodo in cui sono esistiti i mezzi di comunicazione di massa.
    E quindi lascia aperta la questione se i mezzi di comunicazione di massa siano di qualche rilevanza ai fini della guerra e della pace.
    Mi domando se fai lo stesso tipo di obiezioni a tutti i discorsi che leggi 😉

  • Faccio lo stesso tipo di obiezioni a tutti i discorsi che cercano di dare una soluzione/spiegazione ad un fenomeno invocando la correzione/modifica di una serie di condizioni a contorno la cui origine è posteriore all’insorgere del fenomeno stesso.

  • Quindi, siccome i media sono nati posteriormente alle guerre, secondo te sono irrilevanti ai fini della questione della guerra e della pace.
    O comunque è fallace intravedere prospettive di cambiamento, operando su essi.
    Prendo atto 😉
    Ciao

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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