Si allunga la serie di articoli e studi scientifici dedicati alla difficoltà che la scienza sta incontrando nell’applicazione del metodo scientifico. È un dibattito fondamentale. E molto istruttivo per tutti coloro che anche a titolo molto meno alto lavorano alla generazione di conoscenza.
Tutto è partito da un’osservazione di John Ioannidis:
In 2005 John Ioannidis, an epidemiologist from Stanford University, caused a stir with a paper showing why, as a matter of statistical logic, the idea that only one such paper in 20 gives a false-positive result was hugely optimistic. Instead, he argued, “most published research findings are probably false.” As he told the quadrennial International Congress on Peer Review and Biomedical Publication, held this September in Chicago, the problem has not gone away.
L’Economist aveva ripreso e riassunto il dibattito. E ora una nuova puntata sul sito di Burroughs Wellcome Fund.
Una delle preoccupazioni sottostanti al dibattito è che la fretta di pubblicare per mantenere il passo dei tempi richiesti dalle logiche del finanziamento alla ricerca, per stare al ritmo dei congressi scientifici, o semplicemente per fare bella figura e candidarsi a premi, promozioni, assunzioni… insomma l’umanissima ambizione degli scienziati incanalata dai tunnel informativi e comunicativi che sono propri del loro mondo abbassa la soglia dei controlli sulla qualità dell’informazione e della conoscenza che producono. La difficoltà di riprodurre gli esperimenti dei quali si parla negli studi citati deriva probabilmente anche da questo.
Comunque è altrettanto istruttivo che il controllo peer-to-peer prima o poi fa venire fuori questo insieme di errori. Anzi forse è ancora più istruttivo.
Se in un mondo tanto controllato e colto sul piano metodologico come quello degli scienziati si fanno tali errori e si rischia tanto di affermare idee poco provate, è ovviamente probabile che questo avvenga con ancora maggiore frequenza tra coloro che partecipano all’informazione senza tanta preparazione epistemologica ma con altrettanta fretta.
Per questo era – e resta – importante la pratica di confrontare e collegare le informazioni tra blogger, giornali, esperti e altro. Il peer-to-peer è anche in questo caso una fonte di conoscenza di per sè, perché può alzare il livello del controllo, rendendo collettivamete più probabile il miglioramento dell’informazione individuale (purché sia fatto con metodo e continuità: link tra blogger, confronto costruttivo sui dati, evoluzione del rapporto con i giornali tradizionali in senso simbiotico, e così via). La fretta non aiuta. Il metodo sì.
Vedi
Economist: Has the ideas machine broken down?
Edge: what should we be worried about?
E vedi anche
Aza, Picchio, Fabio, Flaviano. Un lavoro di collegamenti sull’azienda del futuro: GG, Mauro, EndofAdv, I4e.
Visto che il nuovo numero di Focus contiene un excursus tra le molteplici connessioni tra mente e stomaco, e i suggerimenti per riconoscere (e prevenire) i vari disturbi dell’apparato digestivo, dall’ulcera alla psiconevrosi, con i consigli per curarli al meglio?
Sono d’accordo con te circa i vantaggi e la crescente importanza del controlo peer to peer in ambito specialistico. Ma la tecnologia stessa, che ci consente un immediato e continuo raffronto di idee, non costituisce un ulteriore stimolo ad una iper-produzione culturale e scientifica? Se è vero che la quantità – e la qualità – delle pubblicazioni scientifiche è influenzata dai meccanismi di finanziamento (oltre che dagli aspetti psicologici da te citati), non è altrettanto vero che la moderna comunicazione possa costituire un deleterio stimolo alla diffusione di tesi/pensieri/idee non ragionate e vagliate? Non conviene scrivere meno e meglio? http://www.fabriziocapanna.com