Siamo di fronte a un cambiamento radicale. E Yochai Benkler lo racconta su Edge. Il momento in cui ci siamo accorti di essere di fronte a un’èra nuova è quando Alan Greenspan dice: “My predictions about self-interest were wrong. I relied for 40 years on self-interest to work its way up, and it was wrong.”
Un’economia che accoglie la condivisione, la collaborazione, la ricchezza dei commons, le relazioni tra le persone, è più reale di quella che si basava soltanto sulla razionalità dell’egoismo utilitarista. La rivalutazione della dimensione della rete in un mondo che si era pensato come un sistema di gerarchie è una sorgente di opportunità culturali e organizzative.
La crisi dell’iperfinanza – del turbocapitalismo – è una dimostrazione, insieme, dell’avvento di una nuova epoca e della necessità di nuove dimensioni culturali per l’economia. La ricerca di Benkler è un’ispirazione.
Sì, i mercati possono essere conversazioni più che conflitti. Per consolidare questa tendenza deve però cambiare anche il modo di leggere e intepretare i fenomeni economici e sociali. Non solo leader d’impresa, più o meno patinati, che pontificano di successo (rispetto a cosa, tra l’altro?), ma più ascolto strutturato di popolazioni d’impresa che nei territori e nei settori rappresentano quantità e qualità di scambio, quindi modi di essere e pensare innovazione ed economia in relazioni vaste a geometria diversa. Si deve adeguare l’analisi affinche maturino approcci e progetti e poi evolvano i modelli teorici e quelli pratici a tutte le scale, istituzionali, imprenditoriali e sindacali, di informazione e comunicazione. Il cuore della vicenda e di “un’economia giusta” è la genesi del dato, il servizio del dato. Serve molta più cultura dal basso – come giacimento e come verifica – con buona cultura di leadership, tenute insieme da uno spirito etico ontologico simile a ciò che nel luglio scorso disse Gordon Brown: “è ora che stati e mercato facciano gli interessi dei cittadini”.