Il dibattito sulle alleanze per il governo si può risolvere o per apparentamento ideologico tra le forze in campo o per pragmatico accordo sulle cose da fare. Il primo percorso sembra praticamente escluso: o i partiti superano i preconcetti ideologici, i giudizi morali e le antipatie personali, col rischio di perdere la propria specificità identitaria e fare arrabbiare gli elettori, oppure i partiti si accordano sui programmi, in modo molto puntuale. Credo che quest’ultima strada sia percorribile e che non faccia fare brutta figura, anzi.
Se ne parlava quest’anno e cinque anni fa:
Promemoria per un umile ragionamento sul PD
Lettera a Beppe Grillo e all’M5S
In questo scenario ci sono quattro possibilità: o il contratto Lega-M5S, o il contratto Pd-M5S, o il contratto destra-sinistra, o un contratto firmato da tutti quelli che ci stanno. Da questo punto di vista è chiaro che l’ultima opzione può piacere a livello istituzionale ma rischia di diventare il “minimo comune denominatore” e di poter fare poco. Le prime due potrebbero avere due approcci culturali molto diversi: in teoria, forse, non necessariamente in pratica, dove ci fosse la Lega ci sarebbe più lotta all’immigrazione e alle tasse, dove ci fosse il Pd ci sarebbe più giustizia sociale e stabilità economica. Ma un fatto è certo: ogni partito dovrebbe spingere per scrivere la sua parte di contratto e farla applicare. In questo scenario non ci sarebbe nessuna convenienza a “stare sull’Aventino”.
Le difficoltà sarebbero soprattutto legate alle operazioni impreviste e imprevedibili che un governo deve fare: qui si rischierebbe ogni volta la rottura. E altre difficoltà ci sarebbero una volta esauriti i temi del contratto: a quel punto occorrerebbe una nuova trattativa.
Ma in generale il vantaggio sarebbe quello di riqualificare i programmi e ridurre al minimo le diatribe ideologiche, che nel contesto cinico attuale non servono tanto a definire una linea politica quanto ad apparire nei notiziari.
(Nella foto: Roma dal Colle)
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