Di che cosa dunque era considerato colpevole Assange per meritarsi l’espulsione di Wikileaks dai server di Amazon? Ieri non era ancora chiaro. Oggi è stato spiegato da Amazon. Ne parla Charlie Savage sul New York Times in una ricostruzione tutta da leggere.
Fondamentalmente, dice Amazon, Wikileaks pubblicava anche attraverso i server di Amazon una grande quantità di contenuti che non aveva il diritto di pubblicare:
“When companies or people go about securing and storing large quantities
of data that isn’t rightfully theirs, and publishing this data without
ensuring it won’t injure others, it’s a violation of our terms of
service, and folks need to go operate elsewhere,” the company said.
A quanto pare, Amazon non ha reagito con l’espulsione in seguito alle richieste del governo americano. E non lo ha fatto per proteggersi dagli attacchi di tipo denial of service cui Wikileaks era sottoposta.
Secondo il New York Times, i legali dicono che Amazon ha agito secondo la legge.
Si tratta di un confronto tra due servizi di tipo “piattaforma”, con molta libertà d’azione per le aziende e le organizzazioni coinvolte. Sarebbe stato difficile per Amazon allontanare dai suoi server un giornale, ma una “buca delle lettere” come Wikileaks la poteva legalmente allontanare. Piaccia o no.
Per le piattaforme, l’obbligo di combattere l’illegalità o la dubbia legalità di ciò che fanno i loro utenti sta diventando una questione piuttosto complessa e controversa. Google ha ieri cambiato le sue regole di intervento contro la pirateria. YouTube è sempre nel mirino. Facebook si destreggia. Twitter ha resistito all’attacco contro un dissidente in Georgia, lo farebbe anche contro “dissidenti” in America? (Non ci sono notizie in proposito di un eventuale attacco a Twitter per i micropost inviati da Wikileaks). Le piattaforme sono un allargamento della libertà di espressione ma quando hanno natura commerciale non sono condotte da un pensiero pubblico: fanno quello che possono, devono, conviene.
D’accordo punire chi usa le piattaforme altrui per commettere reati, però chiudere le porte in faccia a Wikileaks mi suona più come un tentativo di oscurare la trasparenza e libertà di pensiero ed espressione, che dovrebbe essere uno dei pilastri di internet e del web.
Sono d’accordo con Stefano. La spiegazione dei vertici di Amazon può funzionare dal punto di vista filologico, ma non credo che le pressioni del governo americano non abbiano infuito. Stando a quanto ho letto in rete il servizio di Amazon funzionerebbe sul medesimo principio di Youtube.