Mettendo insieme giornali e qualità si scopre che il problema è anche di punto di vista. Che cos’è un giornale di qualità, supposto che ormai sappiamo che il giornale non è la sua carta? Dipende in un bel po’ dal punto di vista…
1. Per la pubblicità è un canale con il quale raggiungere i consumatori con un messaggio commerciale
2. Per il pubblico è un aggregatore di notizie, un interprete, un rappresentante…
3. Per chi lo fa è sempre più un’applicazione che organizza l’informazione e che va lavorata da un insieme di autori, designer e programmatori…
Che cos’è indipendentemente dal contesto o dal punto di vista? Forse una storia sintetizzata in una testata che genera un senso e un’identità per un mondo di competenze ed esperienze, condivise nella comunità composta dal pubblico e dagli autori-designer-programmatori che offrono il loro servizio. Se il lato sociale è tanto importante quanto il lato tecnico, la strategia va guidata nella direzione di tenerne sempre più conto. Niente di nuovo, forse: ma da interpretare ancora nel nuovo contesto storico in cui oggi operiamo.
Sicché: non esistono i giornali di qualità una volta per tutte.
L’unica cosa che sappiamo è che questa idea di qualità non è un dato assodato e che si acquisisce per diritto ereditario, ma va conquistata ogni giorno sul campo. E che l’investimento nella conoscenza comune nella società – lo si diceva nel post sulla qualità poco fa – è tanto importante quanto quello che si dedica alla produzione. (L’innovazione è necessaria. E va condotta cercando di mantenere chiaro il senso del lavoro da fare. Che in fondo viene proposto dagli autori ma definito e trasformato in realtà soltanto dal pubblico. Quindi comprendere come cambia il pubblico, o la società e la comunità in cui il giornale vive, è più importante di qualunque altra ricerca). Imho.
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