Un bel pezzo, sincero, di Joe Hewitt, sull’open source. Discute, l’autore, su quanto sia open Android. E su che cosa davvero significhi open source oggi. Mi piacerebbe sapere che cosa ne pensano coloro che possono comprenderne il senso fino in fondo perché col software aperto ci lavorano quotidianamente.
21/10/2010 11:28
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Open in che senso
21/10/2010 11:28
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Luca De Biase
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Si tratta di una visione piuttosto bilanciata. Il termine “open” è terribilmente ambiguo. Le modalità di sviluppo e di rilascio di Android sono sufficientemente open per renderlo non confrontabile con le principali alternative. Per alcuni non è sufficiente ma per altri è un progresso epocale. L’alternativa è, come sempre, una visione manichea ovvero la richiesta di apertura totale ed incondizionata ma che nella pratica risulta inaccettabile sia da parte dei carrier e probabilmente anche per Google.
Un parallelo interessante all’interno del mondo “Open Source” è quello tra le licenze software. La GNU General Public License e le licenze BSD pur all’interno dello stesso framework culturale hanno visioni estremamente distanti tra di loro e spesso inaccettabili per alcuni.
Il mondo del software libero e’ un ecosistema. E quindi come tale ci sono gradazioni e sfumature con spettri molto ampi. Non ha senso incasellare, se non per finalita’ di classificazione, le “gradazioni di open”.
Ognuno, nel rispetto dei diritti di paternita’, sceglie la propria.
E’ proprio questa la ricchezza e la potenza del software libero, essere in grado di generare ecosistemi attorno a se.
Questa caratteristica e’ molto meno presente nel software chiuso e comunque non e’ cosi’ “vitale” e “prolifica”.
Si puo’ usare anche la metafora dei giacimenti di risorse. Lavorare con il software libero e’ come lavorare alla ricerca di miniere d’oro. Devi selezionare, cercare, valutare, setacciare e imparare ad usare i metalli preziosi che ne escono. E sempre piu’ bisognera’ lavorare cosi’. In tutti i campi. Questa e’ la societa’ della conoscenza.