Sarà per fatalismo, o per cinismo, ma gli studi sul futuro, in Italia, sono meno diffusi che altrove. Ma la mancanza di un Institute for the future, in Italia, non diminuisce la necessità di guardare avanti in modo organizzato e sistematico. Si tende a rispondere a questa necessità comprendendo il presente con profondità di lettura storica e sociologica, come fa il Censis, oppure contando su un grande modello econometrico, come fa la Banca d’Italia, o ancora sondando le opinioni degli italiani, come fanno i diversi istituti di ricerca demoscopica nati dopo il pionieristico esordio di Doxa. Si tratta di lavori che guardano al futuro con prudenza e non troppo esplicitamente: come se l’Italia fosse condannata a ritenere che il futuro è stretto tra l’imprevedibilità fatalista e l’immobilità cinica. Sicché quando qualcuno si lancia in un’esplicita ricerca sul futuro si pone subito dalla parte dei coraggiosi. Si candidano a questo ruolo l’associazione The Ruling Companies e Harvard Business Review Italia che hanno avviato una ricerca sui macrotrend orientata a indagare l’orizzonte al 2030 col metodo degli scenari seguendo una chiave interdisciplinare: economia, tecnologia, impresa, società e politica. Gli estensori del rapporto che viene presentato domani a Milano, sono consapevoli della diversità delle durate dei fenomeni, per esempio, tecnologici e politici: i primi possono essere indagati in una prospettiva decennale mentre i secondi sembrano totalmente imprevebili oltre un orizzonte triennale. Il loro lavoro mette in ordine logico una quantità di indicazioni che si trovano sparse in diversi rapporti e che non sempre sono ragionati nell’insieme. Si direbbe, in ogni caso, che la dinamica più sfidante, quella che attorno al digitale ridefinisce l’economia e la società, ottenga l’attenzione che merita. E anche questo per l’Italia, dove troppe storie sembrano condannate a iniziare e a finire nella politica, è originale.
Articolo pubblicato su Nòva l’11 dicembre 2016 e su Crossroads
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