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Martin Daumont. Il governo economico del mondo. Con qualche commento sul potere

Chi comanda, oggi, nel mondo?

La domanda nasce dalla lettura del grande libro di Martin Daumont: “Il governo economico del mondo” (Mondadori 2024, v.o. 2023). È un grande libro sulla storia della politica economica dell’Occidente dal 1933 al 2023. Dalla depressione risolta con l’intervento pubblico nell’economia alla destrutturazione della politica decisa in base all’ideologia neoliberista: con uno sguardo alla prospettiva che ora si apre, con la crescita dei giganti asiatici, Cina, India e Indonesia, la fine dell’egemonia occidentale e la dissoluzione del neoliberismo. E appunto in questa prospettiva ci si può chiedere chi comandi oggi nel mondo.

Certo, l’attenzione che ormai abbiamo imparato a dedicare ai sistemi complessi conduce a escludere che il potere sia davvero nelle mani di qualche singolo individuo, senza considerare le relazioni con i contesti. Ma è anche vero che la vittoria di questo approccio strutturale è evidente nell’analisi delle dinamiche generali di lungo termine, non è sufficiente per riconoscere le possibilità che hanno le persone di contribuire a scrivere la storia. E dunque le loro responsabilità.

Alla luce di tutto questo, dunque, chi comanda oggi?

Ebbene, l’ipotesi è che ci sia una novità. Forse, fino a qualche tempo fa, si sarebbe cercata la risposta soprattutto tra i capi di stato dei paesi più potenti. Ma oggi non si possono escludere dall’analisi i capi delle mega aziende del digitale, le BigTech.

Lo studio del governo economico del mondo da parte dei potenti della politica va integrato con una ricerca sul ruolo giocato dai potenti dell’economia nel governo politico del mondo.

Vediamo un attimo. Posto che nessuno ha un potere assoluto, la risposta alla domanda su “chi comanda” si trova cercando chi sia dotato da alcune caratteristiche:

1. Le sue decisioni sono relativamente indipendenti dalle decisioni di altri

2. Dispone di un numero di decisioni alternative tra le quali scegliere più grande di altri

3. Ha un numero di persone che dipendono (o sono fortemente influenzate) dalle sue decisioni più grande di altri.

Sono solo delle ipotesi per cercare di comprendere che cosa occorre cercare. Ma da queste ipotesi che cosa si tirerebbe fuori?

Il punto 1 è il più difficile. Nessuno è completamente indipendente. Ma alcuni lo sono più di altri perché guidano strutture più grandi. Altri si prendono la responsabilità di pensare in modo indipendente, anche cambiando convenzioni e abitudini. I politici dei grandi sistemi politici egemonici sono del primo tipo: Usa, Cina sono degli esempi. I politici autocratici che emergono da involuzioni delle democrazie sono forse del secondo tipo: Russia, Turchia, India, potrebbero essere accusate di far parte di questo gruppo. I capi delle BigTech hanno strutture grandi e si prendono sempre più responsabilità, conquistando progressivamente gradi di indipendenza: Microsoft, Meta, Alphabet, Amazon, sono variabili molto indipendenti.

Il punto 2 riguarda le funzioni da svolgere e le risorse per portarle a compimento, nei contesti di riferimento. I poteri politici hanno compiti relaltivamente scritti dalle loro carte costituzionali. I poteri dei capi delle BigTech consentono loro maggiori gradi di libertà perché possono darsi anche compiti innovativi: guidare l’umanità alla conquista di Marte è un’innovazione che deriva dall’avere individuato un contesto nel quale si possono esplorare possibilità alternative, al quale il potere di un capo di BigTech accede senza dover chiedere il permesso. Si deve finanziare con denaro pubblico, certo, quindi non è del tutto libero di agire. Ma le sue opzioni sono molte.

Il punto 3 è numerico. Miliardi di persone in Cina e India. Ma anche in Meta e Alphabet, Apple e Microsoft. I poteri di quelle aggregazioni decidono le controversie, danno e tolgono la libertà di parola, arricchiscono e impoveriscono parte dei gruppi che governano, e così via. E hanno impatto su miliardi di persone.

Certo, nessuno è pienamente indipendente e libero di scegliere tra opzioni alternative. Mark Zuckerberg ha cambiato il nome di Facebook in Meta per seguire l’idea di costruire il metaverso, ma il suo potere ha incontrato il limite imposto dal potere della finanza, e ha dovuto desistere. Del resto, il limite del potere del presidente cinese di invadere Taiwan è collegato alle posizioni del presidente americano che certamente non gli dà il via libera. Ma le alternative si possono anche costruire: l’impensabile invasione dell’Ukraina da parte della Russia è un terribile caso del genere.

Ma è chiaro che le scelte di Elon Musk sui popoli da appoggiare con Starlink è una dimostrazione di potere relativamente indipendente. Le scelte di Apple sulle produzioni da fare in Cina o India sono piuttosto pesanti. Le modalità di definizione delle controversie legali all’interno della piattaforma come Amazon possono essere estremamente importanti per il business di migliaia di aziende. E per l’importanza di queste aziende, oltre che per il tipo di decisioni, assomigliano a decisioni politiche. In un certo senso, la conflittualità latente tra i grandi centri di potere politico e le BigTech che sembra essere emersa negli ultimi tempi potrebbe attestare l’impressione che queste dimensioni del potere siano ormai comparabili.

Insomma, i paragoni tra i poteri economici e politici forse si possono fare. Ma dove portano? Forse a fare una classifica del potere. O forse semplicemente a osservare che la gerarchia del potere non è politica o economica.

Ma anche più interessante sarebbe sapere che tipo di politica stanno facendo le BigTech. Perché non basta osservare che sono in grado di appoggiare certi poteri politici o altri. In vista delle elezioni americane Meta e Amazon hanno scelto la neutralità, Musk ha scelto Trump, molte altre imprese di San Francisco hanno simpatia per Harris. Ma alla fine questo è abbastanza tradizionale. Invece più nuovo sarebbe capire se hanno una strategia politica globale.

In generale, si potrebbe ipotizzare che hanno politiche meno ideologiche degli stati. Possono dunque allearsi anche con sistemi politici dei quali non condividono le idee. Possono andare d’accordo con il neoliberismo che le fa crescere senza mettere regolamentazioni limitanti. Oppure andare d’accordo con un sistema autocratico perché garantisce stabilità nel mercato del lavoro e commesse pubbliche.

Forse in generale si può dire che i grandi poteri si aiutano a vicenda, si combattono qualche volta, e sempre tendono ad assomigliarsi. Forse si può dire che al livello del potere, l’economia e la politica convergono.

Il governo economico del mondo in fondo è la sintesi delle esigenze dei poteri politici e dei poteri economici. Lo racconta anche Daumont, in fondo.

Il problema, come sempre, non è quello di rovesciare il potere. Perché per ogni potere rovesciato, ci sarà un nuovo potere che ne prende il posto. Il problema è di limitare il potere. Di creare un sistema di bilanciamenti. Ed è questo che sembra particolarmente mal riuscito con le BigTech.


foto: “Wall Street” by In Memoriam: -Tripp- is licensed under CC BY 2.0.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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