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La ricchezza della monnezza. Considerazioni di un “non politico” sulla crisi

Non sono un politico. Non intendo parlare di politica politicante. Non la capisco, la subisco. Sono un componente della società e mi rivolgo alla mia comunità per contribuire a comprendere a che cosa dovremmo imparare a stare attenti. In questo post faccio semplici considerazioni a valle di una settimana traumatica. Ma forse occorre cominciare a costruire un percorso di riflessione su che cosa possiamo fare adesso, noi italiani, di fronte agli scenari che si stanno aprendo. Considero questa, insomma, una primissima puntata.


Non era difficile considerare semplicemente la situazione e il risultato da ottenere. A partire da dove si trova Roma nella questione della gestione dei rifiuti, il risultato da ottenere è la liberazione delle strade della città dall’immondizia e dai fumi degli incendi che si accendono nelle discariche. Questa estate è stata particolarmente dura, con alcune giornate nelle quali il Comune chiedeva alle famiglie di tenere chiusa la finestra. In questo quadro emergeva una questione semplice: il termovalorizzatore non è perfetto ma è meglio delle discariche che ci sono intorno a Roma?

Invece di parlare di questo, l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte leader del Movimento 5 Stelle ha preferito mettere in crisi il governo.

Approfittando di quella crisi, trincerandosi dietro questioni di metodo, i partiti di Destra hanno pensato che fosse legittimo far cadere il governo. I sondaggi su quello che pensano gli italiani di questa scelta non sono ancora usciti, ma per i partiti di Destra quelli che contano sono i sondaggi che dicono che alle prossime elezioni vinceranno. E sono convinti che gli italiani saranno contenti di avere finalmente un governo eletto e non un governo di tecnici. (Di questo si dovrebbe dubitare, visto il gradimento che gli italiani hanno sempre testimoniato per il governo guidato da Mario Draghi). Ma queste questioni non sono il punto principale.

Il punto è scegliere tra dare la priorità ai risultati per tutti o al vantaggio di parte, ovviamente. È chiaro che ogni parte pensa che il suo vantaggio coincida con il vantaggio di tutti. Ed è anche chiaro che non può essere così. Ma come può essere?

Che cosa ottiene i migliori risultati: la conflittualità o la pacificazione? Si dirà che entrambe le dimensioni servono. E allora si può specificare, cercando di dare una durata alle due possibilità: conflittualità tattica o strategica, pacificazione tattica o strategica. 

Se un paese vive in conflittualità tattica, perché su ogni cosa si può fare polemica e ogni argomento può essere usato come arma contro gli avversari, invece di guardare ai risultati come insieme si guarda al metodo per vincere come parte. Sembra l’Italia di questa settimana. 

Fino a una settimana fa, l’Italia poteva essere invece in una condizione di pacificazione strategica: si guardava al risultato sulla ricostruzione post-pandemica cogliendo l’occasione per realizzare una modernizzazione in stile europeo fondata su investimenti, ricerca, educazione. Con risultati che raramente si erano visti prima.

Un paese può anche vivere in una condizione di pacificazione tattica, nella quale si blocca il conflitto in nome della gestione del potere. Può sembrare ciò che avviene in un regime autoritario. E a fronte di quel regime autoritario si può immaginare una conflittualità strategica, orientata a costruire le basi di una nuova democrazia. L’Italia potrebbe conoscere nei prossimi anni questi nuovi scenari? È argomento per un’altro post.

Ma qui invece vale la pena di proporre qualche chiosa e riflessione generale.

Se gli scenari proposti sono sensati, non è che si debba rifuggire dal conflitto e scegliere la pacificazione sempre e comunque, ma nei diversi contesti storici occorre prendere la strada giusta. Come generalizzazione tutta da verificare, forse, si può dire che guardare al lungo termine, strategicamente, produce i risultati migliori per tutti, mentre limitandosi al breve termine aumentano le probabilità che il risultato avvantaggi solo la parte che ha saputo cogliere l’attimo e forzare gli altri a subire le sue tattiche. Ma queste considerazioni vanno approfondite.

Sta di fatto che le persone di buon senso dovrebbero concentrarsi su come si ottengono i risultati migliori per tutti con effetti di lungo termine. Tutto il resto è meno che soddisfacente.

I momenti migliori sono quelli nei quali i conflitti inevitabili sono orientati ad affrontare specifici problemi e la narrazione generale è orientata a realizzare il miglior risultato per tutti, passando per i compromessi o per le innovazioni. D’altra parte, occorre anche ricordare che una preferenza per la pacificazione si deve pur dare per scontata, dal momento che un paese non è un’entità isolata ma gioca un ruolo a livello internazionale: se un paese fa squadra in generale sta meglio, se si avviluppa nei conflitti interni senza uscirne mai e dimenticando i risultati da ottenere sta peggio.

La complessità è tale che occorrerebbe affrontare i vari nodi evolutivi in modo vagamente ordinato. E da questo punto di vista resta aperto l’argomento su che cosa sia più importante: il metodo o il risultato. Nel lungo termine, certo, la qualità del metodo e quella del risultato tendono a convergere. Ma occorre contemporaneamente evitare il bizantinismo del metodo che paralizza così come il cinismo del puro risultato ottenuto all’insegna de “il fine giustifica i mezzi”.

E l’immondizia? Nel quadro delineato si può dire che considerare la monnezza come una ricchezza politica da usare contro gli avversari, invece che come un problema di amministrazione e qualità della vita è una schifezza.


Vedi tra l’altro:

Via i cassonetti dalle strade della Capitale

Una costituzione fondata sull’ambiente


In alto, foto generica di rifiuti in Italia: “È anche emergenza rifiuti” by antonello_mangano is licensed under CC BY-NC-SA 2.0.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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