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Pestilenza, guerra, carestia. Una combinazione che nel XXI secolo è diversa da quella del XIV secolo

Covid-19. Guerra di Ukraina. Prezzi del grano in forte crescita.

Dopo un paio di secoli di prosperità ed espansione demografica, agricola, economica, culturale, l’Europa entra nel Trecento in un periodo durissimo: pesti, carestie, guerre. La popolazione si riduce drasticamente: i morti sono tra un terzo e la metà e la ripresa demografica è costantemente interrotta da nuove catastrofi. L’idea che finita la peste si ricominci come prima può essere maggioritaria per una prima crisi, per una seconda, per una terza. Ma poi il paradigma cambia. E le aspettative si trasformano.

I parallelismi storici sono sempre azzardati. E a maggior ragione lo è il parallelo tra il Trecento e questo secolo arrivato a un quinto del suo cammino. Anzi, vale proprio la pena di pensare alle differenze.

In questo secolo, la tecnologia non è statica ma estremamente dinamica. L’ineguaglianza è abnorme – forse questa è una somiglianza – ma la difficoltà ambientale è una sfida globale molto più grande di quella di allora, anche perché oggi la popolazione umana è immensamente più numerosa. La pestilenza fa meno morti, la guerra è un evento abominevole ma non è tanto letale in termini di vite umane quanto lo era secoli fa, e la carestia si presenta come l’aumento dei prezzi, che affama i poveri ma nelle parti considerate meno centrali del pianeta il che si accompagna con percezione spesso parziale dei problemi: la grande differenza forse si vede qui. Il sistema umano è talmente complesso che non può essere minimamente compreso senza il sistema mediatico, che però a sua volta introduce una distorsione percettiva straordinaria su tutti i piani della crisi.

Il sistema mediatico ha vissuto alimentando aspettative e succhiando attenzione sia quando queste fiorivano sia quando erano deluse. Oggi forse è tempo di riconoscere che le aspettative esagerate fanno male e non sono sincronizzate con la realtà. Le nuove aspettative per il XXI secolo non vanno enunciate come rinuncia, ma vanno affermate con orgoglio, come una conquista di consapevolezza, fondamento dell’innovazione dotata di senso che è sempre più necessaria.

Photo by Mattia Bericchia on Unsplash

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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