Il tempo del pataverso è giunto.
Centodieci anni dopo l’uscita del libro di Alfred Jarry sulla patafisica è ora di un nuovo salto in avanti nella conoscenza. Secondo il suo fondatore, la patafisica è la «scienza delle soluzioni immaginarie». Volendone dare un’idea sintetica si può dire che la patafisica sta alla metafisica come la metafisica sta alla fisica. Il pataverso si trova nella stessa situazione rispetto al metaverso. Ma andiamo con ordine.
Tutti parlano del metaverso.
Negli ultimi tempi, Facebook era oggetto di critiche durissime: testimonianze dirette e ricostruzioni giornalistiche – pubblicate tra gli altri dal New York Times e dal Wall Street Journal – mostravano una profonda “disattenzione” dei vertici di Facebook in merito alla salvaguardia della privacy, al rispetto delle regole antitrust, alla diffusione di notizie false e discorsi di odio e alle ricerche che ipotizzavano rischi per la salute mentale dei giovani utenti coinvolti nelle relazioni sociali messe a disposizione dalle piattaforme dell’azienda americana. E proprio nel pieno della discussione avviata da queste notizie, il fondatore del social network, Mark Zuckerberg, ha lanciato una grande visione per il futuro: il metaverso.
Il concetto era stato proposto da Neal Stephenson nel suo romanzo Snow Crash, del 1992: un mondo digitale parallelo nel quale le persone si rifugiano per fuggire alla realtà e interagire tra loro in un ambiente completamente artificiale nel quale essi stessi appaiono come avatar, altro concetto originale del romanzo.
Zuckerberg ha detto che investirà miliardi nella costruzione di questo nuovo ambiente digitale.
L’idea è che il pubblico vuole esperienze immersive, in ambienti coinvolgenti emotivamente oltre che razionalmente. Questo è da sempre un desiderio soddisfatto da narrazioni che non si limitano alla funzione di condividere storie ma di fatto creano mondi nei quali le persone si immergono usando a fondo i mezzi di comunicazione disponibili. Se si può sognare ad occhi aperti leggendo di Anna Karenina in un libro, ci si può sentire ancora più vicini all’esperienza del personaggio di Lev Tolstoj guardandola in un film: ma non sarebbe ancora più emozionante incontrarla – in bit e ossa – nel metaverso? Certo, occorrerebbe sopportare la fatica si usare quegli occhiali per la realtà virtuale che dopo un quarto di secolo non sono ancora facili da sopportare per molto tempo. Ma con tutti i miliardi di Zuckerberg, si potrebbe anche pensare che la questione tecnica sarà superata. Questa è la linea narrativa avviata da Facebook, anzi “Meta”, come oggi si chiama.
Una linea un po’ troppo diritta, probabilmente. Nell’ecologia dei media, le vicende sono sempre più complesse.
Ma è piuttosto il tempo del pataverso.
Non manca chi si preoccupa: se Facebook ha operato come la si accusa di aver operato, perché il suo metaverso dovrebbe garantire di più i diritti umani e la qualità dell’informazione? Potrebbe diventare qualcosa come The Matrix di Lana e Lilly Wachowsky (1999), nella quale tutti credono di vivere felicemente e sono invece sfruttati?
Non si sono molti motivi per pensare che la forma dell’ambiente nel quale le persone comunicheranno in futuro assomigli a quella che è venuta fuori dall’azienda di Zuckerberg. I suoi soldi potranno comprare tecnologia e attenzione, ma non l’immaginazione.
La patafisica, questa scienza immaginaria dell’immaginazione, servirà ancora.
L’immersività del mondo digitale dipende dall’incontro tra la struttura dell’interfaccia delle piattaforme e la struttura delle narrazioni che vi si sviluppano. La prima mette in ordine la conoscenza nello spazio, la seconda le dà un senso nel tempo. Le possibilità sono infinite e non c’è alcun motivo per pensare che quella di “Meta” prevalga. In ogni caso, non è probabile che prevalga solo per la quantità di soldi che ci investirà. Per questo, la salute mentale delle popolazioni coinvolte con l’esperimento di ingegneria sociale che “Meta” si accinge a lanciare sarà salvaguardata proprio dall’immaginazione. Farà bene alla salute, la coltivazione di soluzioni alternative. Farà bene, insomma, esplorare il pataverso: frutto di una scienza dell’immaginazione libera da preconcetti.
Credit immagine: talia_tokugawa; licenza CC BY-SA 2.0 .
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