La terza parola più ricercata su YouTube?
Prima di tutto la risposta: la terza parola più ricercata nel mondo finora nel 2020 su YouTube è ASMR, secondo Ahrefs. L’acronimo sta per “autonomous sensory meridian response”. Si è scoperto che, sentendo qualcuno sussurrare o vedendo qualcuno muovere le mani in modo delicato, alcune persone – non tutti – sentono qualcosa come un formicolio che parte dalla testa e si allarga alla schiena e agli arti e che sfocia in una sorta di tranche con euforia o rilassamento. Il che ha generato una quantità di video su YouTube nei quali ci sono persone che sussurrano o muovono le mani in modo delicato: tutti video che cercano di emulare il successo di un originario video del 2009 che mostrava un sussurro diventato “virale”.
Se ne parla su The Conversation, un giornale che dà conto della ricerca di una grande quantità di università anglosassoni. A quanto pare una certa quantità non numerosissima di studi dimostra che questa sensazione denominata ASMR è associata a comportamenti del cervello che a loro volta sono associati all’empatia e alla connessione sociale.
È una delle molte forme con le quali si può immaginare che emerga in rete un sistema di forme organizzate di manipolazione dell’attenzione e del funzionamento neuronale umano.
Di fronte a queste scoperte è possibile che si manifesti la convinzione il sistema dei media sociali e le regolamentazioni che li governano debbano essere modificate. È possibile che di fronte alla banalizzazione e falsificazione dell’informazione si possa generare in certe condizioni una sorta di infodemia, come temono all’Oms? Se dovesse effettivamente emergere che di fronte a certi tipi di messaggi molte persone sono di fatto costrette a sperimentare forme di reazione automatica, inconscia e difficilmente razionalizzabile, finendo per essere manipolabili, si potrebbe arrivare a dire che questo sarebbe in contrasto con la libertà di circolazione dell’informazione?
Internet finora è stata regolata, come ricorda Jeff Kosseff nel suo ultimo libro, in base a 26 parole contenute nella sezione 230 del Communications Decency Act del 1996: quelle parole stabiliscono che le piattaforme non sono responsabili di quello che gli utenti pubblicano online. Ma se certe cose che vengono pubblicate hanno effetti prevedibili e negativi chi deve intervenire? La risposta è tutt’altro che scontata. Il numero di persone che si pongono questa domanda è più elevato del numero di studi che la analizzano razionalmente.
Vedi:
Ahrefs
The Conversation
Jeff Kosseff
Articolo precedentemente pubblicato su Futuranetwork.
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