Abbiamo un futuro? Calma: è solo una domanda. E, tanto per anticipare la conclusione, la risposta è “sì”. Ma il percorso per arrivare a quella risposta non è così ovvio.
«There is no “ahead” in a world that is an echo chamber of instantaneous celebrity.» C’è qualcosa di magico in questa frase di Marshall McLuhan, del 1964, pubblicata da Bruce Rosenstein su Twitter.
Non c’è futuro in un mondo ridotto a una bolla autoreferenziale per celebrità istantanee, diceva dunque Marshall McLuhan nel 1964. Se l’ambiente mediatico attraverso il quale ci facciamo un’idea della realtà è totalmente dominato dalla competizione per l’attrazione di attenzione, non c’è narrazione ma soltanto una ripetizione di opinioni chiuse nel cerchio terribile della ricerca immediata di consenso: opinioni che non si confrontano con la realtà ma che cercano di circoscrivere una realtà a uso e consumo di chi le esprime. Se non c’è una storia ma soltanto una continua ripetizione, allora non c’è passato e dunque non c’è futuro.
A che cosa ci riferiamo quando ci domandiamo se abbiamo un futuro?
Nell’ecologia dei media le strutture hanno un valore immenso per la generazione di senso («il mezzo è il messaggio») e questo pone al centro dell’attenzione ciò che ha lunga durata. Non per nulla, l’idea di McLuhan appena citata era adatta per l’epoca in cui la televisione prendeva possesso della cultura popolare delle società occidentali come per il tempo dei social network che vendono l’attenzione degli utenti agli inserzionisti pubblicitari.
In questo senso l’ecologia dei media converge con l’approccio storico di Fernand Braudel che ha studiato il mondo proprio a partire dalla lunga durata. I fatti, per Braudel, si esauriscono nel bagliore di un attimo; le congiunture e le mode hanno un andamento ciclico molto importante; ma alla base di tutto ci sono le strutture storiche, i comportamenti ripetitivi, le sfide permenenti della geografia e dell’ecologia. Le civiltà, questi immensi concetti che solo i grandi storici riescono a maneggiare, sono insiemi di individualità, mode e strutture. Ma di per sé si muovono al ritmo dei millenni.
La storia non è la scienza che studia il passato ma la disciplina che studia il tempo. Dunque si occupa del passato, del presente e del futuro. O meglio dei futuri. Perché in ogni istante ci sono molti futuri possibili.
I futuri si possono leggere nei fatti, nelle tendenze di fondo, nelle qualità evolutive delle strutture. E nelle grandi crisi che scoperchiano i fenomeni di fondo della società, questi futuri appaiono in tutta la loro maestosa ambiguità.
Per noi italiani, il futuro sarà scritto dai progetti che sapremo sviluppare adesso, in vista dell’economia avviata dagli investimenti europei dei prossimi due o tre anni, con la buona volontà di realizzarli nel modo migliore. Inutile lamentare il fatto che gli altri europei vorranno vedere la qualità dei nostri progetti prima di darci il via.
Parole chiave… Programma. Progetto. Prospettiva. Progresso. Prosperità.
Il programma europeo prevede che ci si facciano progetti di valore, nel quadro di una prospettiva comune di progresso, che conduca alla prosperità condivisa. I “pro” sono molti, in questa fase della storia.
Stiamo avviando una fase della storia nella quale l’innovazione tecnologica ed economica si orienta nella direzione che la società sceglie di dare al proprio destino.
Il progresso si può conquistare. In uno scenario ottimistico, la leadership è pragmatica e si adatta al feedback che viene dalla realtà ma mantiene la barra dei valori dritta verso finalità giuste per tutta la comunità; mentre l’innovazione non è fine a sé stessa ma è ispirata dai valori che la società esprime. Immaginazione del futuro e sistemi incentivanti convergono.
Il regresso si può verificare. Il fascismo è fatto di un potere autoreferenziale e di una forma di innovazione senza senso che non si confronta con la realtà ma soltanto con un’ideologia del potere. Ogni cosa è essenzialmente piegata allo scopo di ottenere la massima conservazione di tutto, a favore del potere politico ed economico esistente che, in questo modo, punta soltanto a perpetuarsi.
«In today’s world, citizenships needs to have three aspects: loyalty to democratic political and legal institutions and the values of open debate and mutual tolerance that underpin them; concern for the ability of all fellow citizens to lead a fulfilled life; and the wish to create an economy that allows the citizens and their institutions to flourish». Martin Wolf, Financial Times. Vedi anche: Progresso e fascismo. E: Quattro scenari di cui uno orribile. E, infine: Copiamo i migliori europei.
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