Gli olandesi e gli italiani, dicono sul Financial Times, sono agli estremi opposti nella definizione della strategia fiscale europea per superare la crisi economica causata dalla reazione all’epidemia del coronavirus. FT: Eurogroup fails to land deal on coronavirus economic response.
Intanto si viene a sapere che la Francia è in recessione: nei primi tre mesi del 2020 il suo Pil è diminuito del 6%. La Germania prevede che il suo Pil del secondo trimestre diminuirà del 10%. Secondo l’Ocse nel corso dell’anno si rischia una recessione tra il 25% e il 30% in tutte le economie sviluppate. FT: Eurozone’s two biggest economies sink into historic recessions.
Le decisioni che abbiamo davanti non possono più essere prese con la stessa logica di un anno fa. Vediamo due ipotesi.
In un contesto nel quale l’Europa cresceva poco, uno stato poteva pensare di fare il proprio interesse per esempio convincendo le aziende degli altri stati a spostare la sede nel proprio territorio in cambio di un vantaggio fiscale. In questo modo le poche tasse che l’azienda attirata portava nello stato che perseguiva questa logica erano comunque un vantaggio per quello stato. Complessivamente questo riduceva le tasse raccolte dalla somma dei paesi europei, perché il gettito perso nello stato di origine era superiore al gettito guadagnato dallo stato di destinazione. Poteva persino sembrare una cosa positiva per l’Europa. Anche se metteva in difficoltà lo stato d’origine e dava un vantaggio allo stato di destinazione che questo non si era certo guadagnato col lavoro ma solo con l’ingegneria fiscale. Il problema è che in un contesto di competizione fiscale di questo tipo, tutte le aziende potevano avvantaggiarsi a discapito degli stati a tassazione più elevata, moltiplicando i problemi di questi ultimi, specialmente se indebitati. Anche per esempio le aziende americane che venivano a fare fatturato in Europa e si portavano via il valore aggiunto senza lasciare tasse, in modo tale da mettere in difficoltà le aziende europee nella loro competizione contro le americane.
Nel contesto che si presenta davanti a noi, l’unica cosa che non ci sarà sarà la poca crescita di prima. Nella migliore delle ipotesi ci sarà una forte recessione seguita da una forte crescita. La gestione di questa onda anomala nei conti delle macroeconomie europee potrebbe lasciare dietro di sé una devastazione senza precedenti e pochissimi vantaggi.
Nella fase di discesa del Pil, qualunque cosa succeda, le aziende di tutta Europa saranno in enorme difficoltà. Comprese quelle olandesi, tedesche, finlandesi. E tutti i sistemi fiscali si troveranno in difficoltà, compresi i suddetti. I rapporti debito/pil di tutte le nazioni aumenteranno di dieci punti se non di più. Si potrà anche vedere qualche differenza tra uno stato e l’altro, ma per tutti sarà un impoverimento bestiale. In questo vortice, gli stati europei dovranno battersi con potenze come la Cina e gli Usa ben decisi a fare i loro interessi ma dotati di una forza d’urto molto più grande di quella di Olanda, Finlandia, Italia e della stessa Germania. Se gli europei si vorranno difendere in questa fase, per non vedere il loro euro crollare inesorabilmente, per non perdere posizioni sui mercati mondiali, per non farsi fare fuori dai tavoli decisionali mondiali, dovranno stare insieme.
Nella fase di crescita veloce, sostenuta inevitabilmente dalla spesa pubblica, gli stati potranno contare sulla qualità delle loro amministrazioni molto più che dalla possibilità di portare via qualcosa agli altri stati. Si dovranno concentrare sull’attacco alle questioni fondamentali dell’innovazione tecnologica, dell’educazione, delle infrastrutture per la sostenibilità. Avranno i soldi per farlo. Non si dovranno curare degli altri stati, ma della loro capacità di visione e realizzazione. In questo caso, l’Olanda o la Germania faranno passi da gigante, grazie alle loro amministrazioni di qualità superiore. L’euro andrà benissimo. E in nessun caso si dovranno preoccupare degli stati più indebitati, perché anche loro andranno bene. Per il lungo termine sarà molto più importante per l’Europa che tutti gli stati usino il denaro pubblico bene dal punto di vista reale. Sarà bene avere una politica fiscale unitaria in quella fase per avere molto, molto denaro da investire nella strategia pubblica di superamento della crisi. Nell’interesse di tutti.
Non sarà un’epoca di “zero virgola” ma di grandi percentuali, verso il basso e verso l’alto: con l’opportunità di uscirne forti come Usa e Cina. Oppure con le ossa rotte. Tutti quanti. Imho.
Update. D’altra parte si potrebbe anche dire che la competizione tra i sistemi fiscali è una sciocchezza in un contesto di questo tipo, perché indebolisce molto l’insieme avvantaggiando un poco qualcuno. E va sostituita da uno standard unico per le tasse in tutta Europa. L’onda anomala potrebbe mandare sott’acqua la strategia di quei paesi che si sono arricchiti – oltre che grazie alla loro bravura – anche portando via ricchezza agli altri paesi.
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