L’IIT è uno dei maggiori centri di ricerca italiani. L’istituto guidato da Roberto Cingolani è un esempio internazionale per metodo, risultati, gestione, velocità. La sua robotica è nella testa dell’innovazione globale e il suo robottino con la faccia di bambino è un’icona. I nuovi materiali a base organica aprono strade straordinarie per l’industria. I neuroni biologici che coltiva, la comprensione delle dinamiche dell’apprendimento, la produzione in casa delle macchine più avanzate per fare ricerca in collaborazione con i migliori produttori… Una pagina riassuntiva dell’IIT va venire voglia di saperne di più.
La sua capacità di sviluppare ricerca che genera impresa l’aveva condotto a chiedere il permesso di investire nelle startup che escono dai suoi laboratori, non apportando denaro ma servizi. Assurdo che dovesse chiedere questo permesso, ma la legge come spesso accade in Italia non è un abilitatore chiaro e stabile, ma un limite opaco e instabile. La risposta, forse spinta da buone intenzioni, è stata di rilanciare: il decreto Investment Compact consente all’IIT di sviluppare un’attività commerciale, anzi incarica l’istituto di fare da venditore dei brevetti di tutto il sistema della ricerca. Una buona idea? Di certo fantasiosa e gratificante se non fosse per un piccolo problema: l’istituto dovrebbe svolgere questo nuovo incarico senza altre risorse e dunque abbandonando le precedenti attività di ricerca.
Il decreto, articolo 5 ai punti 2 e 3 dice:
2. Al fine di diffondere l’innovazione e di stimolare la competitivita’ del sistema produttivo, in particolare delle piccole e medie imprese, la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia, anche attraverso le forme previste dall’articolo 4, comma 9, del presente decreto, provvede a:
a) sistematizzare a scopi informativi e di vendita i risultati della ricerca scientifica e tecnologica svolta negli enti pubblici di ricerca, le competenze scientifico-tecnologiche e le infrastrutture di ricerca presenti negli enti stessi;
b) istituire un sistema per la commercializzazione dei brevetti registrati da universita’, da enti di ricerca e da ricercatori del sistema pubblico e disponibili per l’utilizzazione da parte delle imprese;
c) fungere da tramite tra le imprese per lo scambio di informazioni e per la costituzione di reti tecnologiche o di ricerca tra esse.3. Gli enti pubblici di ricerca sono tenuti a fornire alla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia le informazioni necessarie per gli scopi di cui al comma 2, lettera a). La Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia e’ tenuta a retrocedere i proventi derivanti dalla vendita o dalla cessione del diritto d’uso di un brevetto o di un altro titolo di proprieta’ intellettuale, al netto dei costi, all’ente pubblico di ricerca di provenienza del brevetto stesso, che le abbia conferito mandato per la vendita o la cessione. Le universita’ possono stipulare accordi, contratti e convenzioni con la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia per la valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica, secondo le modalita’ previste dal presente articolo per gli enti pubblici di ricerca. Al fine di diffondere l’innovazione nel sistema delle piccole e medie imprese, la Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia puo’ stipulare accordi, convenzioni e contratti, comunque denominati, con il sistema camerale, con le associazioni delle imprese, con i distretti industriali e con le reti d’impresa. Le funzioni previste dai commi 2 e 3, sono svolte dalla Fondazione Istituto Italiano di Tecnologia senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.
Come si vede i nuovi compiti dell’IIT sono giganteschi e interessanti, ma anche impossibili da svolgere con le stesse risorse di prima senza rinunciare alle attività di prima.
Perché? Se lo chiedono all’istituto (IIT). Se lo chiede il Corriere. Sto a mia volta aspettando risposte. Ma tutti noi stiamo aspettando una correzione drastica di questa norma che appare, almeno fino a che non viene spiegata, come un pasticcio.
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