C’è chi riesce a fermarsi alla seguente affermazione: “i brevetti sono un modo per ripagare l’industria degli investimenti che compie in ricerca”. Non approfondisce di quali brevetti parla e di quali conseguenze genera l’interpretazione della normativa sui brevetti. Allo stesso modo c’è chi riesce a fermarsi a un’analoga affermazione sul copyright (“ripaga gli autori della loro fatica”) senza riconoscere le diverse conseguenze che provoca la durata del copyright, l’estensione della sua applicazione, le modalità del suo enforcement.
Chi parla solo per principi indiscutibili e generici provoca danni, per esempio difendendo cose come il “brevetto dei metodi incarnati in un software” in America e l'”equo” compenso per la copia privata in Italia.
Ma la Corte Suprema degli Stati Uniti ha deciso che un brevetto concesso su un’idea consolidata incarnata in un software non poteva essere valido. Con questa decisione secondo molti osservatori, la Corte ha bloccato l’espasione e in parte minato l’esistenza dei brevetti sul software che non sono legati al funzionamento delle macchine.
Che cosa significa? Per chi ragiona solo in termini di principio significa che la Corte ha attaccato il libero mercato e il finanziamento della ricerca. In realtà, ha abbattuto uno dei motivi di litigio inutile e dannoso nell’industria tecnologica, aprendo la strada a un approccio più europeo alla questione. E l’incremento esplosivo dell'”equo compenso” sui telefonini italiani per ripagare autori ed editori è invece una soluzione che dimostra quanto l’Italia sia governata da veri liberisti? In realtà, dimostra che una lobby (Siae) ha vinto su un’altra (Confindustria digitale), come riporta la Stampa.
[…] La corte suprema, la proprietà intellettuale e l’applicazione dei principi ::: Luca De Biase […]