Gli archivi non cessano di affascinare. Il National security archive della George Washington University raccoglie i dati e le storie desecretate in America. Il sito è super-interessante. Finestre su storie politiche documentate che in passato erano troppo impopolari per essere rese pubbliche.
La politica americana non ha certo raccontato ai contemporanei come ha preparato il Golpe contro Allende in Cile. O come ha vissuto il genocidio del Ruanda. O come ha operato attraverso i servizi segreti nel corso del 1947-1948 in Italia, dove i comunisti avanzavano. Il National security archive mette in luce i documenti che oggi si possono leggere. E combatte contro i segreti che restano tali, come il comportamento della Cia nel corso della crisi della Baia dei porci.
Si tratta di notizie che abbiamo diritto di sapere. E anche in Italia ci vorrebbe uno strumento così. Con tutti i segreti spesso macabri della nostra politica che abbiamo finito – per così dire – per assorbire nell’inconscio collettivo italiano, liberarci significa anche sapere. Il diritto di sapere è democratico.
Almeno tanto quanto il diritto all’oblio. La differenza, di solito, si fa sulla base del valore pubblico delle informazioni critiche: se un privato sconosciuto cittadino vuole proteggere la sua riconquistata onorabilità facendo togliere i link che portano alle informazioni sui suoi guai passati dal motore di ricerca ha il diritto di farlo, dice la Corte Ue. Le è una persona pubblica non ha lo stesso diritto. Va bene.
Il fatto è che la storia si comprende andando a vedere sia le storie dei grandi uomini politici sia le storie dei comuni cittadini. La storia non ha confini se non quelli che impone la mancanza di curiosità. E poi chi dice che una persona ha valore pubblico?
La soluzione trovata finora dalla Corte Ue e da Google è abbastanza insoddisfacente. Dobbiamo andare oltre. Domande: l’algoritmo potrebbe dare un peso diverso alle storie passate ma non eliminarle dalla ricerca? oppure potrebbe imporre ai risultati delle ricerche sulle persone di apparire in una pagina in modo da dare al primo sguardo le notizie vecchie e nuove senza fermarsi solo a quelle molto linkate in passato? Queste o altre idee migliori potrebbero salvare il diritto di una persona ad avere un’immagine digitale completa e non parziale, ma anche il diritto della cittadinanza all’accesso ai documenti che consentono di sapere, o almeno di ricostruire, con qualche fatica in più forse, tutte le storie possibili.
Sono d’accordo con te sui principi e sulla necessità di avere uno strumento (il web) che sia veramente utile, trasparente e che possa completare, emendare e/o confermare l’opinione del cittadino. Sono anche dell’idea che debba però esserci anche una sorta di educazione alla ricerca e alla comprensione dei contenuti in rete e questa deve partire dal “mondo reale”, oltre le tastiere e fin da dietro i banchi e la porta di casa.
Basti guardare al mondo del giornalismo. Quanti giornalisti “si fidano” del web e non cercano riscontri?
Non è un problema di leggi o di macchine… è un problema di e tra esseri umani.