La leadership culturale nell’ecosistema dell’innovazione è un argomento ampio, olistico. Un inventore può trovare la soluzione migliore dal punto di vista tecnico, un’azienda può proporre il miglior prodotto dal punto di vista economico, ma l’insieme si muove secondo una logica di coevoluzione tra realtà diverse, seguendo una dinamica che di certo non è limitata a una relazione lineare dettata dal miglioramento di questa o quella tecnologia. Si direbbe che, nei periodi di accelerazione innovativa, l’evoluzione della tecnologia abbia bisogno di un ritmo narrativo che, spesso, è scandito dal leader culturale. Questi è colui che l’ecosistema ha adottato come direttore d’orchestra. In passato, si può dire che questo lavoro era svolto dall’Intel che garantiva la legge di Moore e dalla Microsoft che al ritmo di Moore sviluppava la base operativa di ogni altra applicazione. Negli ultimi dieci anni la leadership è stata conquistata dalla Apple, con una serie di mosse talmente affascinanti che il resto dell’ecosistema non ha trovato di meglio che seguirle. Il punto di riferimento cambia. Il bisogno della funzione resta. La leadership culturale di un soggetto esiste solo per il periodo in cui l’insieme degli operatori coinvolti la riconosce al leader. Quando il soggetto fa una mossa è leader solo se il resto del suo ecosistema lo segue.
Che cosa avverrà della grande affermazione ecologista formulata dalla Apple negli ultimi tempi? Ecco due articoli che ne parlano:
Tim Cook tells climate change sceptics to ditch Apple shares
Apple: climate change is real and it’s a real problem
Apple punta a usare solo energia rinnovabile per i suoi stabilimenti e a ridurre le emissioni per gli uffici in modo sostanziale. Si occupa della riciclabilità delle componenti dei suoi prodotti. E soprattutto ne fa una questione superiore a quella del profitto trimestrale: tanto che Tim Cook dice agli investitori di vendere le azioni Apple se si preoccupano delle spese che l’azienda sosterrà per diventare efficiente dal punto di vista ambientale. Si tratta di una mossa che ha precedenti illustri, ovviamente. La Stm si era data una roadmap importantissima a questo proposito ai tempi di Pasquale Pistorio. Molte altre aziende hanno scelto di destinare risorse al miglioramento del loro impatto ambientale. E sebbene gli investitori lo capissero fino a un certo punto, alla fine dei conti hanno fatto più profitti mantenendo una linea di rigore ecologico, attraverso i risparmi e la riduzione degli sprechi oltre che attraverso il miglioramento della relazione di fiducia con gli utenti sensibili. Inoltre hanno guadagnato in chiarezza strategica dandosi una roadmap orientata al lungo termine senza servire solo le emozioni trimestrali del mercato finanziario.
Ma la Apple, che appunto non è la prima, lo ha fatto con uno stile da leader.
Il compito delle aziende è chiaramente fondamentale per la lotta al riscaldamento globale. I governi, ormai spessissimo proni agli interessi economici, faticano a imporre grandi innovazioni normative. E se ci riescono un po’ in Europa, negli Stati Uniti faticano ancora di più. La Apple può contribuire a cambiare il clima culturale nel mondo delle aziende, il che è una premessa per un’inversione del cambiamento climatico del pianeta. Dimostrando che alla fine i profitti non ne risentono. E raccontando la sua storia con lo stile affascinante, pragmatico, innovativo che la contraddistingue.
Che ora la Apple diventi davvero un leader culturale nell’approccio ecologico all’azienda dipende dalla reazione dell’insieme delle aziende. In effetti, c’è da sperare che ci riesca: perché significherebbe che l’ecosistema dell’innovazione ha fatto i conti con l’ecosistema della vita.
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Ritengo che le recenti affermazioni di Apple siano interessanti, ma temo ci sia dietro un (bel) po’ di marketing, e che si usi un po’ di ipocrisia. Questa stessa Apple subcontracta a Foxconn dove le condizioni di lavoro non sono proprio ottimali, visto che si dice che abbiano messo le reti alle finestre per limitare i tentativi di suicidio (solo pochi mesi fa se ne parló parecchio).
Spero che le zero emissioni che si perseguono al main headquarter siano anche perseguite sui foreign plants, ma permettetemi qualche perplessità.
@mgua
“nei periodi di accelerazione innovativa, l’evoluzione della tecnologia abbia bisogno di un ritmo narrativo che, spesso, è scandito dal leader culturale”.
Tutto corretto ed è sicuramente cosa buona e giusta farsi testimone di comportamenti virtuosi in tema di risparmio energetico.
Il giornalista indipendente non può però omettere di notare :
a) che la questione del cambiamento climatico è tutt’altro che chiara sia nelle dimensioni del fenomeno sia, soprattutto, nelle cause. Ripeto, è cosa ottima diminuire i consumi soprattutto di fonti inquinanti ma legarlo scientificamente al cambiamento climatico è, nella migliore delle ipotesi, una forzatura;
b) i cambiamenti tecnologici non sono mai politicamente neutri; qualcuno (http://warisacrime.org/content/climate-invading-earth) (http://www.theguardian.com/environment/2014/apr/18/oil-arctic-putin-gazprom-fossil-fuels) insinua che il considerare “politicamente scorretto” l’utilizzo di petrolio e gas naturale abbia anche un obiettivo politico; addirittura potrebbe esserci chi ne ricava un vantaggio diretto dal cambiamento climatico;
non sarebbe il caso di inserire il fattore nella discussione ? Perchè se così fosse questo farebbe leggere in maniera diversa anche il comportamento dell’ecosistema e toglierebbe un po’ di aura di bontà alla leadership tecnologico-culturale.
qualunque ipotesi scientifica aspetta le osservazioni che la sconfermino, ma fino a prova contraria è valida: migliaia di scienziati che hanno collaborato ai vari rapporti ipcc dopo lunghe discussioni sono arrivati a ipotizzare il rapporto tra l’impatto ambientale dell’attività umana e il cambiamento climatico (http://www.ipcc.ch)… una forzatura è continuare a mettere in dubbio il loro lavoro senza disporre di vere prove contrarie.. in ogni caso ridurre il consumo di risorse non rinnovabili ha l’aria di essere una cosa intelligente di per sé… più che di aura di bontà parlerei di dimostrazione di intelligenza… (certo che se preferiamo i vecchi proprietari dell’ilva 🙂
Concordo e ho già ribadito che la riduzione dell’utilizzo di fonti fossili è un una cosa intelligente di per sè e lo rimarrebbe anche se dovessimo improvvisamente scoprire che il cambiamento climatico non esiste.
Però ciò non dovrebbe esoneraci dal cercare di capire se la proposta è politicamente orientata o economicamente interessata esattamente nello stesso modo in cui dovremmo preoccuparci di verificare se il medico che ci propone una medicina – anche se sappiamo essere efficace – ha scopi diversi e ulteriori dal curarci.