Ethan Zuckerman ha scritto un libro bellissimo. Un saggio che si legge come un insieme di storie, connesse: se fosse un romanzo i critici direbbero che è “unputdownable”, non si riesce a smettere di andare avanti nella lettura, pagina dopo pagina.
L’umanità si sta collegando: anche le persone, le loro conoscenze, le loro esperienze si comprendono solo leggendole nella rete delle connessioni. La dinamica del network trasforma i segreti in misteri, le culture in espressioni, spiazzando l’individualismo per mostrarne l’obsolescenza. Quale approccio ci aiuta a trovare il nostro posto nel mondo?
Per Ethan Zuckerman, uno dei fondatori di GlobalVoices e oggi docente al centro per i civic media del MediaLab, la parola è “cosmopolitismo”. E non si può essere più d’accordo, ma il modo affascinante che Ethan usa per raccontare questa parola è un divertimento intellettuale di prima grandezza. Il suo inventore è Diogene, un vero e proprio homeless-filosofo che si dichiarava cosmopolita perché rifiutava di definire la propria identità in base alla città dov’era nato o a quella dove viveva. Ma da allora, quella parola ha fatto molta strada.
E oggi, nell’epoca della rete, quando tutto è connesso e ogni grande dinamica si accende proprio in relazione alla connessione – dalle epidemie alle crisi finanziarie, dalle rivoluzioni alle innovazioni decisive – il cosmpolitismo è una condizione umana che da minoritaria diventa potenzialmente maggioritaria. È una possibilità fondamentale, ma resta solo una possibilità: perché possiamo perdere l’occasione interpretando la rete in modo chiuso e localistico, lasciandoci dominare dalla preferenza per il simile e il rifiuto del diverso…
Ma proprio per questo occorre ripensare la rete. O meglio: il modo in cui la stiamo costruendo.
Questo libro fa parte del genere di libri che vien voglia di segnalare dopo la lettura delle prime cinquanta pagine. Ma sicuramente è un libro che deve anche essere raccontato e ripensato dopo la lettura completa. Martedì lo presentano al Berkman Center:
In Rewire, media scholar and activist Ethan Zuckerman explains why the technological ability to communicate with someone does not inevitably lead to increased human connection. At the most basic level, our human tendency to “flock together” means that most of our interactions, online or off, are with a small set of people with whom we have much in common. In examining this fundamental tendency, Zuckerman draws on his own work as well as the latest research in psychology and sociology to consider technology’s role in disconnecting ourselves from the rest of the world.
For those who seek a wider picture—a picture now critical for survival in an age of global economic crises and pandemics—Zuckerman highlights the challenges, and the headway already made, in truly connecting people across cultures. From voracious xenophiles eager to explore other countries to bridge figures who are able to connect one culture to another, people are at the center of his vision for a true kind of cosmopolitanism. And it is people who will shape a new approach to existing technologies, and perhaps invent some new ones, that embrace translation, cross-cultural inspiration, and the search for new, serendipitous experiences.
Ci torniamo, qui, tra un po’. Intanto, qui sotto, Ethan ne parla.
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Vedi anche:
Connessi, contaminati, cosmopoliti
Cosmopolitismo imperfetto
Network di acceleratori globale
Ma dov’è l’Italia?
Una lezione di Ezio Manzini
ogni volta che segnala un libro così, mi pongo il problema della traduzione italiana… (vale anche per esempio, per Antifragile di Taleb)… forse è un tema un po’ “campanilista” più che cosmopolita, ma se cosmopolitismo è soprattutto accettazione delle differenze in un quadro comune… 🙂
[…] Rewire. Il nuovo libro di Ethan Zuckerman è un piacere per i lettori cosmopoliti ::: Luca De Biase […]
verissimo, il problema della traduzione italiana per affermare il cosmopolitismo concreto anche da noi — cosi’ l’ho proposta, ancor prima dell’uscita dell’originale, a egea/bocconi e, udite udite, e’ passata: sono quasi agli sgoccioli e il testo uscira’ verso fino ottobre….
si, a very challengin and rewarding experience, davvero, e in molti passaggi ovviamente e’ una localizzazione e finanche adattamento per l’ambito nostrano, ben piu’ che una semplice traduzione
comunque ha ragione luca: il tutto è un divertimento intellettuale di prima grandezza, anzi una sfida a tutti noi a impegnarci in prima persona e collettivamente, per (provare a) ricalibrare la Rete e il modo in cui la stiamo costruendo, vivendo, nutrendo….
un tomo da non perdere assolutamente, anzi dopo la traduzione conto di ristudiarmelo per bene ed esplorare le tante dritte che suggerisce, con molta umilta’, serieta, e soprattutto serendipita’!
[…] Articolo pubblicato su Nòva. Domani Ethan Zuckerman è a Perugia al Festival del giornalismo. Vedi anche: Rewire. Il nuovo libro di Ethan Zuckerman è un piacere per i lettori cosmopoliti […]