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Secondo Peter Wilby: l’innovazione rallenta a favore della rendita

Un pezzo da leggere di Peter Wilby, del Guardian, sul ritmo dell’innovazione in occidente negli ultimi 30-50 anni: parte dal settore farmaceutico, cita l’aerospaziale e ovviamente non evita il digitale per arrivare a suggerire una conclusione controcorrente.

L’innovazione del farmaceutico è il perno del ragionamento. Le case farmaceutiche continuano a innovare ma sono più interessante a salvaguardare le rendite di posizione acquisite. In pratica, difendono in tutti i modi i grandi brevetti che hanno generato i grandi profitti negli ultimi decenni, sia facendo operazioni di lobby per allungarne la vita per via legale, sia introducendo nuovi brevetti che introducono quelle minime innovazioni alle invenzioni passate che servono essenzialmente a mantenerle difese sul mercato. L’innovazione e la rendita, paradossalmente, si sovrappongono in quei casi.

Wilby osserva che, a parte il digitale, molti altri settori hanno rallentato il ritmo dell’innovazione. In qualche caso c’è stato un arretramento: se si prende a parametro per esempio la velocità degli spostamenti aerei, dopo la fine del Concorde, c’è stato un peggiornamento nell’aerospaziale. E se si prende il digitale si vede che la maggior parte dei profitti sono fatti non dai veri inventori ma dalle aziende che sanno sfruttarne commercialmente le invezioni (in proposito, Wilby cita la Microsoft e la Apple anche se si sofferma sulla Microsoft).

In realtà, dice Wilby, l’innovazione della prima metà del XX secolo è stata più importante di quella della seconda metà, se si eccettua il digitale. E al posto dell’innovazione c’è stato un aumento dei profitti basati sulle rendite di posizione, legittimate – si fa per dire – da una sapiente e sempre più intensa opera di pubbliche relazioni che hanno convinto il pubblico dell’esistenza di un continuo miglioramento nei prodotti.

Il contesto non detto da Wilby è l’espansione della finanziarizzazione dell’economia occidentale che ha cambiato la lista di priorità nel management, introducendo incentivi a favore delle operazioni che mantenevano positivi i bilanci a breve e contro l’innovazione profonda. Affidando invece quest’ultima alla ricerca e casomai all’imprenditoria. La finanziarizzazione è collegata al consumismo, nel contesto di una grande operazione di marketing che ha consentito la confusione tra l’introduzione di novità e l’innovazione.

La tenuta in giudizio della Goldman Sachs che fa pensare all’impunibilità dei manager delle superbanche e alla possibile continuazione della strategia iper-finanziaria in occidente; la tenuta sul mercato delle grandi multinazionali farcameutiche anche quando sono condannate per pratiche di marketing non leali (come avvenuto per la Glaxo multata qualche settimana fa per 3 miliardi) fa pensare a un management delle multinazionali guidato da incentivi più personali che orientati al bene della loro azienda; il modo in cui le grandi compagnie che godono di rendite di posizione attraversano la crisi attuale fa pensare che la pulizia del sistema sia ancora lontana. Ma sarebbe un errore non vedere che la crisi sta modificando il contesto nel quale questi grandi poteri si sono sviluppati. La loro capacità di ottenere vantaggi facendo lobby è ridotta. La deregolamentazione che le ha tanto avvantaggiate da farle diventare entità fuori controllo non può più avanzare e anzi è sottoposta a una revisione. La legittimità della loro azione, ottenuta per via di pubblicità e consumismo, è in discussione. E del resto il contesto della stabilità planetaria, la crescita delle aziende cinesi e asiatiche, la profondità della crisi del sistema finanziario, non consentono a nessuno di azzardare previsioni troppo precise: anche i grandi poteri economici e finanziari potrebbero essere costretti a restituire qualcosa al sistema prima di portarlo definitivamente al collasso.

Gli innovatori non possono che contare sulla loro capacità di scoprire come si può fare davvero meglio: a consumare, a generare energia, a coltivare relazioni umane e ricchezze culturali. Il digitale aiuta chi si sa aiutare. La lotta di classe non c’è più (per ora). Ma la battaglia delle intelligenze è in pieno svolgimento.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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