Stefano Rodotà al Festival del giornalismo ha parlato di democrazia e tecnologia. La domanda che ci poniamo è chiara: la tecnologia salva la democrazia o la invade? Siamo di fronte a una prospettiva ateniese, con la possibilità della democrazia diretta, oppure ci apprestiamo a vivere un’esperienza orwelliana, con una macchina “grande fratello” che governa le nostre vite?
Intanto, dice Rodotà, è cambiato il nostro rapporto con la conoscenza è cambiato. L’accesso ai documenti è diventato molto più facile. La nostra società è diventata impensabile senza internet. E internet struttura la società.
Spero di non tradire il pensiero articolato e profondo di Rodotà con questo riassunto.
La prospettiva che Rodotà mostra è in continua evoluzione. Dalla piazza riempita dalle persone che ascoltano un comizio, come avveniva nel dopoguerra, alla piazza svuotata dalla televisione e, oggi, al ritorno in piazza delle persone che manifestano organizzandosi attraverso la rete. Che cosa si sta preparando per la democrazia?
Sappiamo che la democrazia diretta, intesa come un sistema per votare su ogni decisione a suffragio universale via internet, non funzionerebbe. Ne abbiamo un’avvisaglia considerando la “democrazia del sondaggi”. L’agenda della democrazia dei sondaggi è governata da chi decide quali domande porre al campione di cittadini, quando porle, sulla base di quali informazioni: scegliendo l’argomento in un preciso momento storico si influenzano le decisioni (un referendum sulla pena di morte realizzato subito dopo un efferato assassinio avrà probabilmente esiti diversi da un analogo referendum realizzato subito dopo la scoperta dell’innocenza di una persona successivamente all’esecuzione della condanna).
In realtà, la democrazia non è soltanto votare. È un processo che coinvolge l’informazione, la partecipazione, il controllo delle decisioni, la progettazione delle linee di innovazione normativa da adottare. I media sono l’accesso a un complesso di fenomeni che hanno a che fare con ognuna di queste dimensioni del processo democratico. E possono consentire di superare la condizione di cittadini che non possono partecipare se non votando ogni cinque anni.
Come guidare l’evoluzione dei media in modo che aiuti la complessità delle dimensioni del processo democratico? I temi di riflessione sono diversi. La selezione dei contenuti oggi si svolge in modo rinnovato: un tempo le notizie arrivavano ad essere pubblicate dopo un processo di verifica; oggi la verifica e il controllo delle notizie arriva dopo che sono state pubblicate. Questo richiede una consapevolezza più profonda e una riflessione ancora da sviluppare. Allo stesso modo il tema del pluralismo richede pensiero: la diversità di opinioni e punti di vista è probabilmente un valore superiore da salvaguardare in ogni caso, nella convinzione che la rete abbia la capacità di autoregolarsi e autoripararsi. Ma dobbiamo anche sapere che l’evoluzione attuale della rete non è quella di una dimensione della realtà sociale autonoma dagli stati e dalla volontà delle grandi piattaforme private. La consapevolezza dei cittadini di fronte a queste dinamiche è una condizione fondamentale della democrazia. Come lo è la chiarezza sulle priorità dei diritti dei cittadini di fronte alle richieste più o meno confuse e interessate degli stati e dei grandi capitali privati.
La questione è aperta. Ne usciamo con l’idea che la democrazia, comunque, non è tanto nella macchina che la supporta quanto nella cultura e nell’energia democratica dei cittadini.
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