La disoccupazione giovanile non si risolve tutta con la creazione di nuove imprese ma di certo non si risolve senza nuove imprese (vedi Scott Gerber). L’Ocse dice da molti anni che la grande impresa non produce nuova occupazione e che questa è generata prevalentemente dalle nuove imprese. Abbiamo discusso in passato della necessità di una visione armonica della nuova occupazione: imprenditorialità giovanile, grande impresa e lavoro dipendente si sviluppano insieme. E questo avviene con una cultura diffusa dell’impresa, con un grande rispetto per le caratteristiche e le capacità delle persone, con un investimento in educazione ed esperienze internazionali, con uno scambio di esperienze tra iniziative che funzionano per generalizzarne l’energia generativa, con la creazione di boutique per start-up che si concentrino sul mentoring come ha scritto ottimamente Massimo Sgrelli in un ampio post. Non c’è la singola cosa che risolve tutto: c’è un ecosistema e le varie forme di vita economica si sviluppano meglio se l’insieme è più ricco.
Viene in mente un paragone. Si potrebbe dire che nella fase di ricostruzione italiana dopo la crisi del 1992 affidata a un governo prevalentemente tecnico guidato da Carlo Azeglio Ciampi si siano poste le basi di una grande ripresa attraverso la fine della lotta di trincea tra imprese e sindacati e un nuovo patto sociale. Oggi si potrebbe immaginare una sorta di approfondimento di quel passaggio, pensando al superamento dell’incomprensione latente tra imprese e giovani che ha impoverito l’energia economica vitale del paese, per lanciare invece una vera e propria alleanza tra imprese e giovani che lanci una nuova fase di intraprendenza nel paese.
Le imprese che fanno da mentor, i giovani che superano la precarietà organizzandosi in aziende, le autorità locali e nazionali che accompagnano il processo facilitandolo dal punto di vista fiscale e organizzativo… L’ecosistema si arricchirebbe. E anche l’economia. Imho.
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