Un ottimo pezzo di Rohan Gunatillake sul Guardian per spiegare il concetto e la rilevanza del design dei servizi. Una metodologia per la progettazione delle esperienze. Della quale c’è bisogno anche se la definizione e la pratica e soprattutto il modello di business della disciplina sono sempre sottoposte a discussione.
Il design dei servizi è particolarmente complesso da definire anche perché le espezienze possono essere suggerite da un contesto progettato ma chi le prova le rigenera dentro di se.
Le piattaforme online ci stanno abituando all’idea che un sistema di esperienze possa essere progettato più velocemente di quanto non fossimo abituati in passato, quando questo design era molto più collegato ai luoghi e al territorio. Ma i luoghi e il territorio sono tutt’ora il principale terreno di prova delle idee di design dei servizi.
Forse una delle ambiguità sta nel fatto che siamo immersi nelle esperienze che siamo in grado di cogliere, a prescindere dalla volontà esplicita di chi ha disegnato un servizio. E proprio la consapevolezza di questa circostanza caratterizza le migliori sensibilità nel design dei servizi.
Rohan sottolinea che:
1. Le persone non vogliono necessariamente quello che vogliono le organizzazioni
2. Non possiamo permetterci di limitare l’innovazione alla tecnologia
3. Dobbiamo adattare la ruota non reinventare la ruota
4. Dobbiamo coltivare una più solida cultura della prototipizzazione
Se vogliamo sostenere la nascita di gruppi di giovani che si occupano di informazione civile, per esempio, dobbiamo fare design dei servizi. Che cosa ci dobbiamo domandare per fare proposte adatte a chi le dovrebbe poi adottare e farle proprie? (Riflessioni in materia sono benvenute anche per migliorare il lavoro di Ahref).
Caro Luca De Biase,
mi pare difficile non concordare con quanto sottolinea Rohan. Aggiungerei l’elemento tempo per far maturare il cambiamento, soprattutto mentale. E’ particolarmente vero che le persone non vogliono quello che vogliono le organizzazioni, tuttavia non credo sia produttivo considerare solo il profilo personale perchè sarebbe fuorviante essendo legato solo all’interesse del singolo e non a quello più sostenibile della comunità. Probabilmente sarebbe opportuno “oggettivare” per quanto possibile l’offerta in modo che la medesima sia “riconoscibile” e quindi partecitata tanto dalle organizzazioni quanto dai singoli. Per organizzare il design dell’offerta potrebbe essere utile identificarne le finalità (quindi le esigenze che intende soddisfare)e quindi procedere a ritroso per organizzare l’offerta. A questo proposito mi permetto di segnalarle una proposta metodologica che ho elaborato nello scritto che può trovare a questo link: http://www.epistemologica.it/images/stories/PDF/lucio%20scognamiglio2.pdf
Grazie per lo spazio e l’attenzione.
Lucio Scognamiglio