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Google: il sistema dei brevetti sul software non funziona

Google è in mezzo a una serie di battaglie legali che riguardano il suo sistema operativo Android. In pratica, le aziende che producono telefonini con Android non pagano un dollaro a chi l’ha fatto, Google, ma pagano royalties ad altre imprese che hanno dimostrato di avere dei diritti su quel software, legati a loro brevetti precedenti.

Quindi Tim Porter, che per Google si occupa della questione dei brevetti, non è del tutto neutrale nei suoi giudizi. Ma le sue affermazioni vanno comunque lette e meditate. Perché toccano una questione che l’Europa per ora ha regolato meglio degli Stati Uniti. E che ha conseguenze abbastanza generali.

Il sistema dei brevetti, per Porter, non funziona. L’innovazione nel software si fa anche senza brevetti. Anzi, spesso i brevetti la frenano invece che sostenerla. Il software era meglio protetto con il copyright. Ma in ogni caso, quando una tecnologia non è definita in modo da avere confini chiarissimi, la brevettazione non ha senso.

Il principio fondatore del sistema dei brevetti era stato pensato in modo certamente consapevole di tutto questo. E infatti Porter non pensa tanto ai principi quanto alla pratica applicazione che recentemente si è dimostrata fallimentare in America, a suo parere.

Ma volendo essere un po’ più larghi di vedute, si può dire che quei principi erano scritti per un mondo in cui gli oggetti brevettabili erano materiali e non per un mondo in cui le tecnologie sono immateriali. D’altra parte, il copyright funzionava meglio in un mondo nel quale i supporti per le opere d’autore erano materiali e funziona meno ora che si sono smaterializzate o comunque in un contesto nel quale i supporti sono digitali, fatti di reti, computer, oggetti mobili di ogni genere che hanno trasformato le opere a loro volta in software.

Significa che la riforma sempre più necessaria è la riforma del sistema della proprietà intellettuale applicata al software, nelle sue varie forme.

Questa riforma dovrebbe partire dalla consapevolezza di alcune esperienze fatte finora nel mondo del software:
1. l’innovazione avviene indipendentemente dal brevetto,
2. il brevetto serve se riesce davvero a monetizzare il valore dell’innovazione
3. se in un settore il brevetto non riesce a garantire quella monetizzazione e viene usato solo per frenare l’innovazione altrui, non dovrebbe essere applicato a quel settore.

C’è da domandarsi: in qualche modo, questo vale anche per il copyright, quando le opere sono fatte essenzialmente di software?

In ogni caso, questo non significa lasciare il software senza protezione o senza modello di business. Significa trovare un modello di business adeguato al software. Imho.

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  • Ma cos’è un “software”? Io posso fare un software simile o uguale (=che fa le stesse cose) a un altro, ma usando algoritmi, linguaggi, formalismi, paradigmi, ecc. assolutamente diversi.
    Come si fa tutelare la proprietà intellettuale di un sw? Anzi, ha senso tutelare la proprietà intellettuale di un sw?

  • Sono d’accordo con iced, e aggiungo che il brevetto è indefinibile anche per certi concept, ad esempio, se io invento un modo per cui passando il dito in verticale sullo schermo dello smarthphone questo lancia un mp3, perché mai dovrebbe essere brevettabile? è un’idea che potrebbe venire a chiunque e replicabile da tutti, perchè mai mi dovrebbero impedire di replicare un gesto? viceversa la tecnologia con cui interagisce o funziona quella si che va brevettata. Ad esempio noi anni fa “inventammo” SeeMS (http://www.bdesignitalia.net/seems/seems/), un’idea che nello stesso momento è venuta ad altri sparsi per il globo, è normale, il pensiero laterale è di tutti, ecco perché la presentammo come “idea open source” anche se poi la Samsung l’ha “copiata” e inserita di default in un suo cellulare. Pazienza! Lo stesso dovrebbe avvenire nella medicina con chi scopre certe molecole che potrebbero servire per la ricerca contro il cancro ma che, venendo brevettate e quindi costando troppo, alcuni laboratori non possono permettersi!
    Un caro saluto.
    B

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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