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Gli innovatori hanno tante idee, i dittatori una sola. I primi vanno meglio su internet, i secondi fanno più audience in televisione. Forse.

Gli innovatori hanno tante idee. Ciascuno di loro ha una visione di come cambiare il mondo. Ha un’attività che svolge per realizzare la sua visione. E soprattutto ha una sua opinione su come valutare il risultato.

I conservatori hanno in genere poche idee. Di solito sperano che le cose restino come sono. Lavorano per custodire quello che esiste. Talvolta si dividono tra coloro che vogliono conservare tutto e coloro che vogliono conservare solo quello che c’è di buono tra le cose che esistono.

I dittatori hanno una sola idea. Quella di restare al potere. Tutte le altre idee sono strumentali a questa. Quindi offrono solo un’alternativa: o la dittatura si accetta o si rifiuta.

La struttura del consenso viene influenzata da queste caratteristiche dei soggetti presi in considerazione. Il consenso si divide tra le molte idee degli innovatori, tra le poche idee dei conservatori e tra le due opzioni poste dai dittatori. Semplificando, l’innovazione è una questione di nicchie più o meno vaste. La conservazione aggrega un po’ di più. La dittatura è fatta per aggregare tutti. È facile acconsentire a un dittatore e ci vuole molto coraggio per dissentire. È più difficile dimostrare perché adottare un’innovazione ed è ben poco rischioso dichiararsi contrari a un innovatore. La valutazione dell’innovazione richiede una certa attenzione e competenza.

Al massimo gli innovatori riescono ad aggregare un numero di persone superiore all’entità delle nicchie cui si riferiscono le loro innovazioni per motivi di carisma, di biografia, di fascino. E quando le loro innovazioni riescono a soddisfare molti punti di vista contemporanemente. Ma molto raramente quegli sconfinamenti portano a consensi maggioritari sul merito delle loro innovazioni.

La discussione su Steve Jobs è stata un esempio lampante di questa situazione. Grazie al suo carisma e alla qualità della sua biografia ha raccolto un consenso molto più vasto di quello raggiunto dalle sue stesse opere. Ma le sue innovazioni sono discusse e difficilmente maggioritarie (se non per nicchie, come nel caso della musica).

Proprio nel giorno più adatto a celebrare la storia di Steve Jobs non sono mancate le critiche al suo operato. E si può star certi che queste argomentazioni cresceranno nel tempo. Il più duro critico è stato Richard Stallman che ha visto nell’opera di Jobs un effetto maligno sull’informatica, per la chiusura privatistica delle sue architetture. Stallman, il pioniere del movimento per il software libero peraltro viene spesso criticato per il fatto che in fondo tutto quello che ha fatto è stato possibile grazie ai finanziamenti del Pentagono. Alla fine ciascuno dei due è criticabile, ma varia il contesto valoriale dal quale partono le critiche. La moltiplicazione dei punti di vista sull’innovazione e sui modi per valutarla divide il consenso degli innovatori tra molti modelli e molte idee, disaggregando l’opinione generale in nicchie più o meno grandi.

Forse è per questo che in televisione, dove si possono analizzare meglio le questioni semplici, tipo sì o no, vanno meglio coloro che hanno meno idee da discutere. Forse è per questo che su internet c’è più spazio per le interminabili discussioni degli innovatori.

Ma non è detta l’ultima parola. Perché la televisione sta moltiplicando i canali. E internet sta cercando nuove forme per arrivare a soluzioni sintetiche.

Una popolazione abituata da 30 anni a dibattiti fatti solo di “sì” contro “no” dovrà riconfigurare alcuni suoi tratti culturali per poter comprendere i nuovi dibattiti che emergeranno in questa situazione. Questi resteranno minoritari a lungo. Ma faranno apparire sempre più chiaramente i dibattiti apparentemente semplici che prevalgono oggi in tv per quello che sono: banali. Già oggi ci sono dibattiti nei quali i conduttori riescono a superare la gabbia del “sì” contro “no”. Ma non sono moltissimi. L’evoluzione dei media potrebbe far ritenere che i programmi un poco più complessi potranno diventare più numerosi.

ps. Dal punto di vista culturale, 30 anni di dibattiti strutturalmente banali, quelli dove si può scegliere solo tra “sì” e “no” hanno lasciato macerie intellettuali e certamente richiederanno una ricostruzione, come un dopoguerra. Chi si vuole impegnare in questo dovrebbe sapere che sarà comunque un’attività di nicchia e che, probabilmente, non genererà dei risultati maggioritari per parecchio tempo. Questo era un contributo alla riflessione di Luca sulla scarsa audience di un programma sull’innovazione.

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  • Stallman ha ragione, Apple controlla tutti gli aspetti dei propri prodotti, decide persino le licenze con cui una ditta terza può distribuire contenuti e applicazioni, costringe anche gli operatori di telefonia mobile a modificare le proprie reti e distribuire speciali SIM ma secondo me ci sono due cose che non si possono negare:
    1) Apple ha comunque portati innovazione nel settore
    2) Stallman è stato davvero scortese, tacere sarebbe stato meglio
    Su punto 1 possiamo aprire un dibattito infinito, lo so.
    Disclaimer: utente Mac fino ai tempi di System 7.5 e poi convinto utente Linux

  • Considero questa riflessione molto interessante e in parte veritiera; solo in parte perché penso che L’Innovazione divida le generazioni che per 30 anni hanno vissuto e animato dibatti sulla contrapposizione tra si e no; per le generazioni dei ventenni e trentenni, secondo me la percezione è differente e forse divide di più la conservazione. Anche per questo credo che la nostra epoca ci esponga più di altre al rischio di uno scontro tra generazioni, che forse non ci farà tanto bene, come unica via per superare la conservazione (che ci sta portando nel baratro).

  • La divisone tra innovatori, conservatori e dittatori è valida se formuliamo il nostro pensiero lungo le coordinate indicate dal secolo scorso. Che nella sua parte finale è fatto di tanta televisione – in conformazione binaria – e dall’alba delle piattaforme digitali. Con la crescita e lo sviluppo delle reti digitali e l’affermarsi di nuove generazioni, non più solo formate sul mezzo televisivo, mi verrebbe da dire che il rapporto potrebbe rovesciarsi. Il “bianco e nero” verrebbe sostituito dal dibattito, dalla partecipazione. Ma anche questo è una visione falsata dalle conseguenze appiccicose del ‘900. In altre parole: chi ci dice che conservatori e dittatori non useranno le reti digitali per imporre il proprio ordine? L’innovazione si può imparare e usare pure male. Perciò c’è il concreto rischio che il dopoguerra da lungo momento temporaneo, diventi un tempo immobile. Esiste una soluzione a ciò? Forse mi sbaglio, ma io vedo nella scuola – non necessariamente pubblica, ma comunque aperta a tutti – la clessidra per uscire dalle macerie del dopoguerra. E’ in questo ambiente che l’innovazione può generare una vera ed efficace rivoluzione.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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