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Chi retwitta i rumors e la qualità dell’intelligenza collettiva

Retwittare ha molti significati. Può voler dire “mi interessa”, “mi incuriosisce, “mi piace”, dunque dovrebbe interessare, incuriosire e piacere anche agli altri. Nessuno è impegnato esplicitamente a dichiarare perché retwitta. Ma forse è tempo di una riflessione.

In effetti succede spesso che si retwittano rumors, voci incontrollate e non controllate. Ne parla GigaOm.

È chiaro che ciascuno fa ciò che preferisce coi tweet, ma vedere le cose solo dal punto di vista individuale non è più sufficiente, perché esiste anche la dimensione collettiva e questa ha delle conseguenze. Twitter è uno strumento di coordinamento collettivo e fa parte del megainsieme dell’intelligenza collettiva. Il risultato collettivo del modo in cui ciascuno usa Twitter ha degli effetti. Se questo è vero le regole che si seguono nell’attività di twittare – implicite o esplicite – sono a loro volta molto influenti sulla qualità dell’intelligenza collettiva. Si potrebbe riflettere su regole individuali di azione che tengano conto della responsabilità di ciascuno nei confronti della qualità dell’intelligenza collettiva e che prevedano per esempio che si retwitta solo dopo aver verificato che una frase riguarda una notizia controllata o una semplice voce non controllata. L’incentivazione di una singola regola probabilmente è oggi legata solo alla credibilità di lungo termine di una persona che contribuisce via Twitter all’informazione: chi twitta troppe volte una notizia che invece era una bufala rischia di perdere credibilità. Se questo fosse almeno esplicito e consapevole, l’incentivo sarebbe più forte. E si potrebbe distinguere tra le notizie, i commenti e le voci. Impossibile stabilire tutto questo per regola cogente: ma parlarne può forse rendere più probabile un comportamento di maggiore qualità. Imho.

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  • Considerazioni del tutto pertinenti e condivisibili. E molto interessante il concetto di responsabilità individuale nell’influire sull’intelligenza collettiva. Mi viene solo da aggiungere che tutto ciò vale anche – se non in misura maggiore, vista la diffusione e il gradimento – per Facebook, altra enorme agorà virtuale nella quale mi capita spesso di vedere “bufale” e/o futilità passare da un profilo all’altro, fino a formare una vera e propria catena di Sant’Antonio 2.0. E che tutto sommato questa propensione al “propago e diffondo senza verificare la veridicità di una informazione, notizia, affermazione ecc.” è il riflesso moderno di un’abitudine antica quanto l’uomo: oralmente di persona una volta, in forma scritta e via etere ora, ma in fondo è sempre lo stesso bisogno di conformismo e di appartenenza che sta alla base dei “ripetitori umani”.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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