L’innovazione non si insegna. Non c’è una scuola che possa dire all’innovatore come combinare tecnologie esistenti per creare qualcosa di totalmente nuovo.
Non esistono le istruzioni per il montaggio di un’innovazione. Ma le componenti esistenti, la storia delle innovazioni precedenti, le lezioni dei fallimenti e dei successi, possono offrire a chi sente di poter contribuire al processo innovativo spunti indispensabili per andare avanti.
Conoscere la dinamica evolutiva della tecnologia, per esempio approfondendo la teoria proposta da Brian Arthur con il suo fondamentale libro (La natura della tecnologia), garantisce un quadro interpretativo necessario.
Gli imprenditori non hanno certo bisogno di chi insegni loro a fare gli imprenditori e gli innovatori. Ma hanno bisogno di cibo per la loro mente e di informazioni che li mantengano sull’onda del processo innovativo portato avanti dall’insieme dei molti soggetti che lo realizzano: perché evidentemente il processo non è individuale ma collettivo. Possono trovare ispirazione in informazioni che probabilmente non sono nate per generare innovazioni, ma che solo gli imprenditori sanno riconoscere come soluzione a un problema. E possono trovare notizie su nuove componenti tecnologiche o nuovi filoni di ricerca che rendono possibile quello che prima non lo era.
Nella complessità evolutiva della tecnologia, però, gli innovatori hanno un compito che nessuno può insegnare. Il loro compito è trovare un senso nel caos e quindi dimostrare che la loro idea è una soluzione per coloro cui viene offerta. Quando riescono, il loro pubblico si stupisce, a sua volta ispirato: è questo, in un certo senso, l’incanto dell’innovazione.
A volte innovazione non è solo tecnologia e prodotti ma anche processi.
La pubblica amministrazione è un esempio di organizzazione che più che di innovazione tecnologica avrebbe bisogno di (r)innovare i propri processi. E per farlo la tecnologia attuale gli è più che sufficiente.
En passant ne approfitto per segnalarti, semmai ti fosse sfuggito, questo paper sul giornalismo digitale.
http://www.cjr.org/the_business_of_digital_journalism/the_story_so_far_what_we_know.php