
Questa immagine si trova su Information is beautiful. Mostra il numero di storie pubblicate sulle varie questioni che negli ultimi dieci anni hanno spaventato il mondo. Cliccando sull’originale si vedono le spiegazioni. Il bello è l’incongruenza che spesso si vede tra il danno reale e la quantità di ricerche online dedicati a una particolare questione. Per esempio la paura per i videogiochi violenti (il rosso scuro) è stata oggetto di moltissime ricerche ma riguarda una vicenda che non ha prodotto vittime, mentre la paura per le vespe killer (blu scuro) ha poche ricerche ma almeno mille vittime. Su Google Trends si vede che il numero di ricerche è correlato con il numero di articoli pubblicati dai giornali.



Proprio poche ore fa ho scoperto questo libro “di contro-narrazioni amare ed esilaranti, dure e tenere, per capire in che modo un’emozione arcaica come la paura abbia ripreso possesso delle nostre esistenze coniugandosi con la sempre più strillata promessa/garanzia di tutela” (non è una marchetta!): http://www.epoche-edizioni.it/catalogo2.asp?idsch=161&idaut=75 .
fantastico. gli approcci infoestetici diventano sempre più fondamentali.
Qui:
http://www.fakepress.it/experience.html
selezionando in alto la voce “1 – net emotions” si trova un grafico generativo in tempo reale.
Usa una mezza dozzina di servizi di ricerca in tempo reale, anche abbastanza complessi, e ogni istante utilizza qualcosa come 20-30mila elementi scritti dagli utenti internet sui vari social network, cercando forme linguistiche (solo in inglese, per adesso) che rappresentino emozioni. Per riconoscerle si basa su un meta-dizionario di strutture di frasi e parole di circa 800 tipi.
Se si aspetta un secondo che si formino e si aggiornino le barre, si potrà vedere l’intensità delle emozioni (classificate in maniera molto semplice secondo la metodologia di Plutchik) sulla rete.
E’ interessantissimo vedere come in realtà la “paura” sia costantemente un sentimento predominante. Avendo l’accortezza di filtrare quel numero di “rilevazioni” che afferiscono a forme colloquiali e a modi di dire (in cui “paura” e simili sono assai presenti) la predominanza rimane.