Si rifletteva, con Bergonzoni in una serata alla Molteni (quella degli arredamenti, a Giussano) sulI’idea di progresso in termini di qualità.
Ma che cosa occorre fare per
passare dall’epoca del progresso definito dalla quantità di beni
prodotti a una nuova epoca in cui si valuti il progresso in termini di
qualità? Tutto intorno a noi lo chiede. E noi fatichiamo a rispondere. I
soldi, restano la banalizzazione più utilizzata per capire se si va
avanti o indietro. Eppure non bastano più.
“Che cosa sai? Se non
sai nulla non ci può essere qualità” dice Bergonzoni. “L’ignoranza è
biadesiva, si attacca dappertutto. E’ nemica della qualità”.
Già.
Prendiamo la Molteni, appunto. Produce tutto a Giussano e vende in
tutto il mondo. Aggrega la sapienza indicibile dell’artigianato
brianzolo, il design multinazionale di Norman Foster o Jean Nouvel, il
discorso della qualità di successo che diventa storytelling e marketing,
articolato da un sistema narrativo formato da artisti, critici,
giornalisti, filosofi e uomini d’azienda, in modo che sia compreso e che
educhi il pubblico. Se l’artigiano sa fare ma non sa dire quello che sa
fare, occorre un pubblico che comprenda il valore di quello che
l’artigiano sa fare. Dunque occorre cultura diffusa, una narrazione
comune, che consenta alla qualità di essere riconosciuta e sviluppata.
La
qualità non è più solo quella certificata dall’Iso. Lo standard è
necessario come un must. Non fa la differenza. La qualità “narrativa”
dei prodotti che riescono a farsi riconoscere un valore in più è meno
facile da definire ma molto, molto più importante per stare al mondo, in
un mondo globalizzato. Ne parla anche Aldo Bonomi
quando chiama in causa le reti corte del distretto delle competenze
incarnate nella storia di un territorio e le reti lunghe
dell’internazionalizzazione.
Ma un fatto è certo. Se il
territorio dal quale parte la narrazione della qualità e la sua
fabbricazione non alimenta la propria cultura, diventa meno sofisticato e
sottile, perde anche la sua capacità di entusiasmarsi per una cerniera
ben congegnata o per una sedia fatta a regola d’arte. D’arte. Non si
scappa: l’investimento più rilevante per un paese come l’Italia, che
compete proprio su queste questioni, è l’investimento in cultura
profonda, vera, viva. La sua parodia televisiva e la sua banalizzazione
finanziaria non sono sufficienti.
senso e soprattutto l’applicazione del concetto di “qualità”.
E’
una domanda centrale. Abbiamo superato la fase storica della quantità
di prodotto, forse, nella quale tutto si sacrificava sull’altare del
mito della crescita infinita. Ora, se c’è una definizione di progresso
che ci possiamo dare non è più legata alla crescita della quantità di
prodotto, senza tener conto degli effetti collaterali. La definizione di
progresso che ci possiamo dare oggi, epoca della necessità di
affrontare le questioni dell’ambiente, dell’identità culturale, della
profondità delle relazioni umane, non può che avere a che fare piuttosto
con la qualità.
Ma la qualità che cos’è? Nel contesto della
globalizzazione, nel quale i confini scompaiono o meglio si
moltiplicano, nella quale ogni territorio è “vicino” e si “confronta”
con ogni altro, nella quale ogni territorio compete con ogni altro, la
qualità non è più facilmente comprensibile, perché appunto dipende dai
punti di vista. Questa difficoltà concettuale riesce a difendere ancora
il mito della quantità, ma senza soddisfare il bisogno di una narrazione
di progresso più chiaramente legata alla qualità.
Non si risolve in un post. Ma con un post si può iniziare a riflettere.
Nikita Khrushchev~ Revolutions are the locomotives of history.