Per quanta esperienza razionale abbia fatto la civiltà, resta il fatto che la maggior parte delle azioni individuali e collettive sono irrazionali e dominate dall’inconsapevolezza, dalle mentalità indiscusse, dall’emozione, dall’intuizione, dall’istinto. Si reagisce senza pensare molto più di quanto si agisca dopo una riflessione.
Vale anche per l’informazione?
Un articolo di Harry Collins dimostra che la stragrande maggioranza delle cose che sappiamo riguarda cose che non sappiamo di sapere.
Daniel Kahneman dimostra che la stragrande maggioranza delle nostre scelte sono fatte in base alla prima cosa che ci viene in mente e non sono successive a un ragionamento controllato.
Gli antropologi fanno riferimento al concetto di cultura, spesso, come a un enorme contenitore di idee sedimentate nei gesti, nelle tecnologie, negli oggetti, nelle mentalità, che in una comunità le persone considerano tanto ovvi da non dover essere continuamente ridiscussi.
E Richard Sennet spiega l’artigiano come un professionista che sa quello che fa ma non sa spiegare quello che sa.
Tutte forme di conoscenza implicita.
Nella produzione di informazione sui fatti che riguardano una comunità molto è implicito. Nella maggior parte dei casi, il contesto è implicito, il senso è implicito, il metodo di ricerca delle informazioni è dato per scontato. E l’interpretazione è spesso lasciata più all’emozione, all’intuizione, all’ideologia, piuttosto che al ragionamento controllato ed esplicito. Questo rende l’informazione debole. E i fatti meno distinti dalle opinioni. Il che rende l’informazione meno efficace per incidere sulle scelte di una comunità.
L’idea che la democrazia viva di una comunità consapevole che sceglie in base a informazioni metodologicamente corrette è in larga parte una bella e buona utopia. Il che non ne riduce l’importanza. Semplicemente ci insegna a pensare che il bello e il buono di quell’idea che è già diventato realtà è meno grande di quello che resta ancora da costruire.
Almeno questa consapevolezza dovrebbe diventare largamente esplicita. Se vogliamo migliorare il modo che abbiamo di informarci. Per scegliere.
Questo aiuterebbe a evidenziare un’altro bias che apparterrebbe ai lettori, quello per cui il giornalista avendo il completo controllo del suo prodotto, qualsiasi distorsione sia volontariamente manipolatoria. Ma anche chi ha il dovere d’informare per disimpegnarsi dalla trappole cognitive. Certo quelli sotto, riprendendo classificazioni di svariate ricerche e scopi conoscitivi, dovrebbero esser almeno testati sul contesto dei media. Certo le prospettive sono molte per farlo, credo che possa esser più fruttuosa quella che partendo dai biases cognitivi, venga perfezionata con strumenti dell’antropologia in seconda battuta.
http://manyeyes.alphaworks.ibm.com/manyeyes/visualizations/tendency-2
http://manyeyes.alphaworks.ibm.com/manyeyes/visualizations/distortion-effect