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L’evoluzione del cio

Chief information officer. La figura del manager che gestisce l’informatica in azienda è in piena evoluzione, come del resto l’insieme delle tecnologie digitali. Ma la sua missione resta quella di favorire l’innovazione in azienda.

Tanto che, secondo una ricerca dell’Ibm, i cio nel mondo occupano il 45% del loro tempo in attività tradizionali (gestione dell’ambiente tecnologico, riduzione dei costi, contenimento dei rischi, automazione dei processi) e il 55% del loro tempo in attività di supporto ai piani di innovazione più generali decisi dalla strategia aziendale.

Nella figura del cio si sono dunque sedimentate funzioni antiche, alle quali si aggiungono quelle che oggi sono di punta. Si potrebbero immaginare diversi stili di management dell’informatica, non necessariamente alternativi:
1. il cio razionalizzatore è al servizio del bilancio, riduce i costi e aumenta la produttività di ciò che in azienda viene già fatto
2. il cio socializzatore è al servizio delle strategie definite dalle risorse umane e dal vertice per aumentare la capacità delle persone in azienda di collaborare intorno a progetti comuni
3. il cio leader culturale è capace di contribuire all’elaborazione delle strategie aziendali immaginando le innovazioni fondamentali che l’azienda può sviluppare cogliendo le opportunità offerte dalla dinamica della tecnologia in generale.

E’ in ogni caso chiaro che per tutte queste funzioni e in tutti i modelli di cio una novità si va facendo strada: il cio continua a essere il custode della sapienza tecnologica in azienda ma si va aprendo a problematiche socio-culturali più complesse. E’ anche qui la fine della distinzione netta tra cultura scientifica e cultura umanistica che si nota in molte altre dimensioni della vita sociale. E’ frutto di un bisogno fondamentale: fare i conti con un periodo di accelerazione dell’innovazione spinta dall’offerta di tecnologia e ricondurla a un contesto umano più ampio. E’ un epoca di cambiamenti fondamentali dal punto di vista culturale, non più meramente tecnologici: oggi, la cultura – in senso antropologico – si muove conoscendo la tecnologia ma digerendola, imparando a conoscerne le conseguenze, arrivando a guidare il processo non a subirlo.

Il contesto dell’innovazione tecnologica per le aziende, dunque, va letto a partire da un’innovazione culturale. E così si interpretano le tendenze attuali più evidenti:
1. tecnologie sostenibili: il risparmio non è più soltanto orientato alla riduzione del consumo di risorse aziendali ma anche alla riduzione del consumo di risorse ambientali, sociali e culturali
2. cultura aziendale: il sapere aziendale, i numeri, i monitor; ma anche il data mining dialogico, con esperimenti sui dati che provengono dall’interazione con gli utenti e i fornitori online
3. internettizzazione: informatica aziendale come piattaforma per accedere a risorse software (cloud, apps, informazioni) che si trovano online e cui si accede con una molteplicità di strumenti (telefono, smartphone, tablet, notebook, desktop).

Le soluzioni non nascono più dalla tecnologia, ma dalla capacità interpretativa dei cio.

Uno sviluppo di questo concetto meriterebbe un libro. E in effetti i veri esperti della materia non mancano. Qui emergono più che altro ipotesi e domande:
1. Si potrebbe forse dire che la visione dei cio è simile a quella di chi concepisce un business e un prodotto, che la rete degli utenti deve adottare? (Nei settori più avanzati dell’innovazione, attualmente, non è più l’offerta che crea la domanda, ma la domanda ad adottare l’offerta. Dunque l’offerta che si concepisce come capace di farsi adottare vince su quella che si impone per via di procedura aziendale).
2. Ma come può evolvere in questa direzione una figura che molte aziende considerano ancora tecnica? E’ essenzialmente il ceo che fa evolvere il cio? Oppure è la rete dei nuovi assunti in azienda, più scaltri con la tecnologia di rete e meno disciplinabili con le classiche soluzioni procedurali gerarchicamente strutturate.
3. Infine, come è possibile crescere e contemporaneamente tagliare i costi? Tutte le aziende che risparmiano indiscriminatamente tendono a ridurre anche la loro capacità innovativa, l’unica risorsa che non si possono permettere di tagliare. La parola chiave non è “taglio” ma “indiscriminatamente”: occorre fare delle scelte, i tagli sono necessari e positivi se eliminano sacche di privilegio inutile, ma vanno accompagnati da segnali positivi che dimostrino la strada che l’azienda intende percorrere per crescere o svilupparsi. Da questo punto di vista il cio è potenzialmente un protagonista: se crede alla capacità delle persone che lavorano nella sua azienda di creare valore con le loro idee.

Ma è chiaro che le domande sono più delle risposte… Qui c’è la voce del cio di Ibm, sulla ricerca citata in apertura.

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  • Manca all’analisi il CIO molto diffuso e vero disastro per il mondo ICT.
    Il crociato, il talebano impegnato in guerre di religione, il fanatico che ama una marca e ne odia ferocemente un’altra, il fessacchiotto che costruisce architetture piene di manicheismo tecnologico, quello che sbava sull’ultima release del sistema operativo di cui si droga, quello che compra 11.000 server (caso reale spiegato alla CA cloud Academy di ieri) quando poteva installare un paio di mainframe, quello che installa un ERP costosissimo, assolutamente inadatto ad una flessibile azienda italiana che spende una barca di denari per mettersi in casa una specie di camicia di forza…però di moda.

  • @cannedcat perdonami, ma un’obiezione potrebbe essere questa: il fessacchiotto-talebano-crociato può tranquillamente proporre quanto vuole, ma qualcuno dovrebbe poter controllare le sue richieste, no?
    Sulla marca, beh, è facile capire come i gusti (e per gusto intendo qualcosa di veramente complesso: esperienze passate, gusti meramente personali, sensazioni e via così) contano, e non poco talvolta!

  • @kiko Se una grande azienda di consulenza va in un pubblico convegno e porta come suo successo l’aver ridotto una platea di 11.000 server, che consumavano una cifra solo di energia, è chiaro che nessuno controlla il crociato manicheo!
    E il brutto è che il costo lo paghiamo noi come utenti perchè queste stRupidaggini si riverberano sui prezzi praticati all’utenza.

  • Porto tre esempi con cui sono in contatto, spero denotino quanto la figura del Cio sia aggrovigliata.
    Il primo caso è una figura responsabile della gestione ICT, in particolare del polo interbibliotecario universitario. Tale soggetto, ingegnere competente di tecnologie ma poco sia di dinamiche commerciali che di possibili utilizzi market driven, è completamente sotto scacco di:
    1) soluzioni chiavi in mano per inesperienza delle destinazioni d’uso; 2) consolidate per evitare rischi di asimmetria informativa; 3) costose a seguito dei punti di cui sopra. Risultato: progetti che reiterano l’esistente e sono funzionali a smaltire tecnologie spesso sorpassate che non riescono più ad avere mercato. Implicazioni: la Pubblica Amministrazione invece di svolgere con la proria spesa pubblica il ruolo di stimolo all’innovazione è un deterrente, funzionale a rallentare l’uscita dal mercato di offerte all’altima fase del ciclo di vita.
    Caso numero due: impresa di trasporti pubblici che invece di prevedere quella figura nel proprio organico ha la fortuna di conoscere un ingegnere stile silicon valley. Per passione risolve problematiche complesse e si rende disponibile alla bisogna. Risultato: se la spinta parte del CEO e da consulenti esterni, in questo caso i progetti partono a razzo perché l’ingegnere non deve sobbarcarsi responsabilità delle scelte, costui arriva per risolvere problemi e crea suluzioni tecnologiche ad hoc. Implicazioni: la PA è efficiente (caso fortunoso e poco rappresentativo) ma non valorizza competenze che ci sono sul mercato. Tra loro il rapporto dare e avere non è basato sul riconoscimento della professionalità ma su altre tipologie di scambi, tipo (visibilità, servizi gratuiti, ecc..). In questo caso il Cio dovrebbe esser previsto data la spesa che il settore trasporti imputa alla voce tecnologie per bandi di finanziamento pubblico.
    Ultimo caso un’azienda privata leader (si è aggiudicata il sistema di gestione dei mondiali in Africa) in tecnologie per l’infomobilità. Il ruolo del Cio è completamente sbilanciato nella vendita di soluzioni tecnologiche di cui la società dispone. La conoscenza dei fattori di mercato si concentra nelle alternative soluzioni concorrenziali, poco nella valutazione delle esigenze della domanda. Risultati: nei rapporti con i propri clienti la proposta e le eventuali adozioni sono technology push, magari all’avanguardia ma che coprono ben altri bisogni da quelli che i clienti avrebbero avuto l’esigenza di coprire. Implicazioni: il ruolo del Cio è più importante per chi adotta soluzioni che per chi le realizza e vende. Questo è quello che emerge a prescindere dai casi. Il ruolo del Cio dovrebbe esser concentrato molto a superare la differenza di linguaggi e in secondo luogo questa figura dovrebbe esser prevista, almeno nei settori ad alta intensità tecnologica, in entrambi i lati del mercato.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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