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La reputazione nell’epoca dell’incoerenza

Il modo più facile per criticare qualcuno è osservare le sue incoerenze. Obama è un obiettivo fantastico per questo genere di attività. Salon riassume quanto emerge sulle decisioni di Obama in materia di assassinio politico. Il presidente, in campagna elettorale, si opponeva a questa pratica. Oggi la approva. Le inchieste di New York Times e Washington Post lo dimostrano. Un cittadino americano, che incidentalmente è anche un leader islamico, è condannato a morte senza processo e può essere ucciso dai servizi americani. Bush avrebbe approvato: gli elettori di Obama pensavano che Obama non avrebbe approvato. Incoerenza.

Ma è l’epoca dell’incoerenza. Tra i più aspri oppositori di Obama sulla riforma sanitaria che tra l’altro consentirà agli ospedali americani di salvare la vita a persone che non hanno i soldi per pagare il medico c’erano gli aderenti ai movimenti per la vita, anti-aborto e anti-eutanasia, ma non anti-morte-per-povertà: e neppure anti-assassinio-politico. Incoerenza.
In Italia, siamo esperti di incoerenza. Politici incoerenti sono al potere da millenni. E la loro credibilità resta importante. Perché?
L’incoerenza è facile da individuare. Ma è parte della storia delle persone. E se le persone riescono a coltivare una reputazione tutto sommato accettabile, l’incoerenza è perdonata. Dunque quello che conta, a questo livello, non è la coerenza ma la reputazione.
Sicché tutti pensano alla reputazione. E si domandano come coltivarla. Continuamente ci pensano le aziende, i politici, le persone normali.
La reputazione non coincide con la biografia, ma con il giudizio su ciò che si sa di una persona. L’inganno della reputazione può essere particolarmente dannoso: può indurre a parlare non di che cosa dice e fa una persona ma soltanto di chi è. E può portare gruppi ad aggregarsi intorno al consenso per una persona piuttosto che per ciò che fa e dice.
Posto che tutto questo è rischioso, è possibile che il mondo stia trovando una soluzione? Ed è possibile che questa soluzione sia in rete?
La reputazione è una delle questioni centrali per chiunque lavori sulle reti. E non per nulla. Ma occorre distinguere la reputazione di quelle entità che vivono in broadcasting – come i politici e i prodotti commerciali – e la reputazione di noi che viviamo in rete. La reputazione dei politici e dei leader è frutto di una storia nella quale tra gli ingredienti ci sono anche la manipolazione dei messaggi, la tecnica della comunicazione e soprattutto il potere: se le persone accettano di mettersi in condizione gerarchicamente subalterna rispetto ai politici, accettano anche la loro incoerenza in cambio della fiducia che essi risolvano i loro problemi; la reputazione che conta è quella che sostiene quella fiducia. Se le persone si sentono tra loro sostanzialmente alla pari, allora la reputazione che conta è più fattuale. La condizione cambia con la consapevolezza della parità di diritti e doveri delle persone: se c’è questa consapevolezza allora la reputazione che conta è più empirica. Se vale invece soprattutto la relazione di potere allora la reputazione diventa più astratta, ideologica, emotiva, irrazionale, subalterna.
La rete non ci salva dalla manipolazione, ma aumenta le probabilità di trovare informazioni sui fatti, può attirare l’attenzione sulle forme di incoerenza delle persone e può condurre le persone a sentirsi più forti tra “pari”: questo può essere una premessa per un approccio più empirico alla reputazione. 
Potrebbe emergerne anche un miglioramento nel modo in cui si valutano i politici. Superando la mera e prigra ricerca delle incoerenze e cercando di imparare a valura anche la vera qualità dei risultati fattuali dei politici.
(Ma bisogna ammettere che la questione è davvero intricata. E ci vorrebbe molta più riflessione in materia).

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  • Aggiungo solo, per dare un contributo all’ultima riga del post, che la reputazione potrebbe dipendere da:
    1) l’incoerenza percepita, quindi se i media tacciono su una persona, la persona gode d maggiore reputazione: per cui in Italia si tace su ObaOba (probabilmente perchè per molti giornali sarebbe imbarazzante dare conto di quello che scrive Luca nelle prime righe, peraltro, che il leader islamico sia cittadino americano non è incidentale, è il cuore del problema, che un leader terrorista debba essere fatto fuori è opinione condivisa da TUTTI i democratici americani)
    2) l’appartenenza tribale: sono stati fatti degli studi, la stessa persona, descritta anonimamente con attributi caratteriali e fattuali viene giudicata diversamente se viene ascritta al gruppo di appartenenza di un individuo, ad uno neutro o ad uno avverso (hanno fatto esperimenti di tutti i tipi: gruppi razziali, politici, anche semplicemente di un’altra università o di un’altra facoltà)
    3) le proiezioni psicologiche individuali e di gruppo, che sono diverse da quelle del punto due (nelle situazioni estreme superano gli influssi del punto due, e a quel punto ci sono i “leader carismatici”, che sono molto più rari di quello che sembra) e che dipendono molto anche dalle storie: un leader che si trova a operare in un momento di crisi sistemica ha un danno alla reputazione, mentre un altro che ha la fortuna di gestire un momento positivo ha una reputazione migliore di quella che meriterebbe (es. Bill Cinton)
    4) La reputazione dei critici (percepiti, più che quelli veri), da cui il sempre valido consiglio a politici, accademici, opinionisti e religiosi: scegliersi i nemici e, dove non è possibile, inventarsi le posizioni avverse (che non vuol dire inventarsi i nemici perchè non ci sono, ma crearne artificialmente e possibilmente anonimamente di sintetici con posizioni facilmente smotabili e/o estreme: es, non attaccare Darwin ma i darwinisti dipingendoli come nazisti, oppure scegliere certi fuori di testa come Dawkins e allargare le sue posizioni a tutti gli studiosi dell’evoluzione).

  • Una cosa: l’assenza di assicurazione sanitaria non impediva gli interventi salvavita. I democratci non hanno mai invocato statistiche di mortalità più alta della media delle persone senza assicurazione per giustificare la riforma. Mi sembra un caso di caso numero 4 del reply precedente. E non erano le persone a basso reddito ad essere escluse, per le quali c’era il Medicare, ma quelle con un reddito che superava il limite del Medicare ma che non avevano l’assicurazione per mille motivi (circa il 15 per cento della popolazione americana). La riforma sanitaria è stata voluta dai democratici per la classe media, peccato che alla classe media non piaccia. E si vedrà a novembre.

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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