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Murdoch, Google e il Corriere

La sparata di Murdoch secondo la quale i suoi giornali potrebbero decidere di rifiutare la possibilità di essere trovati con il motore di ricerca di Google ha generato molte reazioni. Una, recente, di AdvertisingAge, fa un po’ di conti e arriva a dire che, una volta usciti da Google, i giornali di Murdoch perderebbero un po’ in termini di pubblicità, rischierebbero di perdere rilevanza tra i giovani e le persone che sono meno abituate alla logica dei giornali tradizionali e più abituate alla navigazione sul web, avrebbero vantaggi molto ipotetici su altri versanti (l’esclusività delle loro offerte a pagamento).

Ma quel che è peggio è che dichiarerebbero il tentativo di ricondurre la relazione con i lettori alla logica della filiera lineare, molto diversa da quella prevalente nella complessità della rete. Quindi non si fermerebbero lì. E cercherebbero molto probabilmente di aiutare ogni altra misura in grado di mettere “ordine” nel web in modo da balcanizzarlo e governarlo gerarchicamente, come si governavano i media tradizionali.
Molto più produttivo sarebbe lasciare al web la sua logica e casomai aggiungere innovazione: facendo ricerca e sviluppo di contenuti giornalistici da diffondere a pagamento sui lettori a e-paper (per ora la situazione è piuttosto arretrata e c’è molto spazio di miglioramento); sviluppando la logica già funzionante della distinzione tra pagine gratuite sul web e pagine a pagamento e ad alto valore aggiunto; facilitando al massimo la relazione tra la ricerca giornalistica professionale delle redazioni dei giornali e l’informazione emergente dai cittadini attivi. 
Il Corriere, con Mucchetti, ieri, si è schierato contro Google. Le perplessità segnalate da Mucchetti sul fronte fiscale sono del tutto sensate. Ma quelle che riguardano la relazione tra i movimenti dei navigatori sul web guidati in parte da Google e il modello di business dei giornali non sono del tutto precise. Si sa che i giornali possono decidere di uscire da Google News senza uscire anche dal motore di ricerca. Ma non si capisce molto bene perché dovrebbero farlo (il motore di ricerca, come Google News, non porta solo alle home page dei giornali ma anche alle singole pagine che i giornali decidono di mettere a disposizione gratis). Il problema è che Google funziona come un computer: o si sa usarlo o non si sa usarlo. Ma lamentare il fatto che i robot di Google trovano e linkano gratis quello che gli editori pubblicano gratis non è tanto logico…
E’ vero che Google ha un tale dominio del mercato da rischiare tensioni monopolistiche: ma questo è intrinseco nei settori ad alto effetto-rete e dove “chi vince piglia tutto” (come Bernardo Huberman diceva fin dalla metà degli anni Novanta). Su questo le antitrust mondiali devono attrezzarsi: finora sono apparse piuttosto lente ad adattarsi.
Ma per battere questo effetto i competitori possono fare battaglie legali oppure creare migliori tecnologie. Google ha migliorato la tecnologia che ai suoi tempi sembrava imbattibile di Altavista. E anche gli editori potrebbero impegnarsi a intervenire con l’innovazione – e non solo con le battaglie legali. Qualcuno lo fa. Molti altri dovranno imparare a farlo. Ne beneficeranno i lettori e lo stesso giornalismo.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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