Joe Hewitt, la persona che ha sviluppato la applicazione Facebook per l’iPhone, lascia il progetto perché ritiene che siano troppo stringenti e “tirannici” i controlli svolti dalla Apple sul software che viene rilasciato sull’App Store.
Quello che è interessante è la motivazione. Sottolinea la libertà di sviluppo sul web, ammette che la Apple possa fare quello che vuole sulla sua piattaforma, ma insomma non ne può più di doversi confrontare con i controllori della Mela. E decide di tornare a sviluppare per il web.
Il fatto che una piattaforma funzioni meglio se ha delle regole è abbastanza chiaro. Se le regole sono decise dalla comunità è di solito meglio, perché sono più condivise. Se se regole sono decise dal proprietario della piattaforma, vanno bene se quel proprietario è illuminato, altrimenti non vanno bene. E alla fine vengono rigettate.
La questione è questa. Le regole della Apple danno una certa sicurezza agli utenti. Ma danno fastidio a certi sviluppatori. Specialmente se connessi a grandi aziende come Facebook o Google. E se la Apple perdesse gli sviluppatori per l’App Store, il suo iPhone perderebbe una buona quota del suo valore. Ora che ci sono alternative (Android in testa, ma anche Nokia), l’App Store non è più l’unico mondo nel quale fare una strada di successo accelerata e interessante con il software che gira sugli smartphone. E quindi per la Apple il momento è quello delle decisioni difficili.
Conoscendoli, quelli della Apple non cambieranno repentinamente politica. E comunque il loro ruolo di controllo è necessario per molti motivi, anche legati agli accordi con gli operatori. Del resto, hanno affrontato qualche crisi del genere anche con l’iTunes e l’hanno superata con una politica prudente ma ferma. Ma con l’iTunes non hanno mai incontrato una concorrenza potenzialmente tanto forte come quella che può venire da Android.
Per questo, potrebbero prendere in considerazione una proposta nata su Tùaw, pubblicazione non certo nemica, che suggerisce di creare un livello intermedio di accesso all’App Store per le applicazioni prodotte da sviluppatori che avevano già avuto un’approvazione in passato che potrebbero mettere online le loro nuove applicazioni anche se gli utenti sarebbero avvertiti che quelle applicazioni non hanno ancora avuto l’approvazione ufficiale Apple.
Si tratta di un caso del delicato rapporto che sta emergendo tra controllo e libertà in rete: un caso che è prevalentemente tecnico, riguarda sviluppatori e consumatori su una piattaforma proprietaria, incrocia gli interessi degli operatori telefonici e dei pubblicitari, rimescola le abituali credenze del popolo di internet. Ma vale anche per le applicazioni su Facebook e altre piattaforme.
Un equilibrio tra gli interessi va trovato. Probabilmente non verrà dalle leggi ma dalle regole migliori che gli internettari riusciranno a trovare per comporre i diversi interessi. E probabilmente non si tradurrà in una sola regola valida per tutti. Ma è chiaro che le piattaforme con le regole più eque avranno più possibilità di diventare ecosistemi sani e di svilupparsi.
Il problema non è che ci siano delle regole.
Il problema — e lo dico per esperienza personale — è che NON SI SA QUALI SIANO queste regole. Apple si tiene sul vago, propugna una cosa, poi la cambia sull’Agreement; ci sono tonnellate di regole non scritte che vanno seguite e che portano tutte alla rejection se ignorate. Ogni rejection sono quindici giorni persi. È possibile senza problemi infrangerne una, venire approvati per una svista del reviewer, per poi vedersi rifiutati gli aggiornamenti. O peggio, essere rifiutati quando sviste hanno permesso a nostri competitor di uscire lo stesso.
I cambiamenti allo Store e alle politiche sono fatti dal giorno alla notte, senza avvertire; alle volte manco si sa che sono avvenuti e vanno saputi per vie traverse. La GUI che usiamo per fare l’upload e la gestione delle applicazioni fa schifo. Un’applicazione su cui Apple non è sicura può rimanere in limbo, non rejectata né approvata, anche per sei mesi.
Il problema non è che non ci siano delle regole, è che Apple fa quel cacchio che gli pare, il bello e il cattivo tempo. È una relazione abusiva, e non possiamo liberarcene.