Esagerazioni. Se ne vedono ovunque. Anche per sostenere l’importanza di innovazioni che in effetti hanno qualcosa di fondamentalmente interessante.
Lo hype è parte integrante del processo innovativo per molte tecnologie che richiedono uno sforzo iniziale per l’adozione. Il problema è che si può fare hype, si può fare una comunicazione esagerata anche su tecnologie che non hanno nulla di veramente interessante. Si chiama processo di illusione-delusione ben conosciuto specialmente in Italia.
Ma anche il processo successivo (ho-avuto-troppe-delusioni-dunque-non-mi-illudo-più) è negativo e paralizzante.
L’unica soluzione è stare dentro i processi innovativi e considerarli criticamente. Un bell’esercizio è quello di immaginare quali tecnologie sono più importanti di quanto si percepisca e quali sono invece meno importanti di quanto si esageri a raccontare.
Ci si può domandare per esempio se sia nella prima o nella seconda categoria la realtà aumentata (vedi esempi su webvolution). Un motivo che fa pensare che ci sia esagerazione sta nel fatto che grazie al frame della realtà aumentata trovano attenzione idee piuttosto controverse come le lenti a contatto che informano direttamente dall’occhio (vedi NextNature). Ma il motivo che spinge invece a prendere in considerazione attentamente l’idea di un browser trasparente capace di sovrapporre informazioni su un’immagine presa dalla realtà è legato principalmente al successo dei cellulari con grande schermo buona fotocamera e grande diffusione. In questo caso la realtà aumentata è un “di cui” di un fenomeno già avviato e provato. Il vero freno, lo sforzo che manca, è editoriale: se la realtà aumentata darà soltanto informazioni su quello che viene prodotto da un’unica centrale vagamente automatica come GoogleMaps o se gli incentivi a pubblicare informazioni saranno legati soltanto alla pubblicità di negozi e locali, tutta la questione potrebbe finire in una bolla di sapone. Se gente con spirito editoriale vero, orientata a informare, si mettesse a lavorare questa cosa, invece, potrebbe trarne uno spunto interessante per un nuovo piccolo (forse nemmeno tanto) modello di business iperlocale, di servizio, di connessione tra pari.
È chiaro che per dedicarsi a questo genere di pensiero lo hype può servire un po’ come conforto per la fatica che dovrà essere fatta, ma non basta.
Luca, tutto giusto, ma:
1) Lo hype è un vizio che deriva dalla poigrizia mentale dei giornalisti/commentatori/etc, ossia chi ha il potere di amplificare l’hype di chi logenera. E, spiace dirlo (bugia…), dipende dal wishful thinking: siccome l’amplificatore non è passivo ma attivo (molto attivo), se il pezzo di comunicazione che incorpora l’hype piace alla gente che piace, fiato alle trombe e rullino i tamburi (do you remember la storia del catalizzatore che migliorava di qualche percentuale la resa dell’idrolisi per gli ioni idrogeno e divenuto il Graal che permetteva all’energia solare di “salvarci” ne giro di pochi anni ?).
2) E inutile che ci preoccupiamo che “la centrale centrale” colonizzi anche l’augmented reality. Chi ha alternative, le tiri fuori, chi ha i soldi e ci vede un business, investa. Basta frignare. Per esempio, il Gruppo Editoriale Il Sole 24 Ore ci vede un business ? Investa. Il Touring Club Italiano, che ha le informazioni, ci si butti con una nuova generazione delle sue guide. La De Agostini, ci spenda soldi. Invece si illuderanno di vendere le informazioni a Google (già i leggo: “E il Sole si allea con Google”, con la congiunzione, che fa più figo, del tipo, oggi ho mangiato maritozzi a colazione, e…”) che invece prenderà dieci sfigati stagisti (ooops, si alleerà con l’Università di Rocca Cannuccia) e li metterà a copiare le didascalie dalle fonti aperte, oppure sfrutterà lo user generated content (già lo fa…), o ancora ricatterà le ProLoco e gli uffici turistici dei Comuni: vuoi didascalia, datti da fare, sennò, niente didascalia. Sveglia, Italia. Non ci crediamo noi italiani, perchè un dio dovrebbe salvarci contro la nostra volontà ?