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Ricevo questo post su Gianni Rodari

Ricevo questo post e credo che sia bello da leggere. Lo manda Sandro Calvani, Senior Adviser presso la Mae Fah Luang Foundation under Royal Patronage, docente universitario di politiche dello sviluppo sostenibile. È stato dirigente della Caritas Italiana e diversi organi delle Nazioni Unite. Membro del World Economic Forum, ha lavorato in 135 paesi per 35 anni. Ha scritto 26 libri e 750 articoli sulla sua esperienza. Il suo sito. La foto è di Wikipedia

Lo scambio d’epoca:
come Gianni Rodari mi ha accompagnato nelle sfide del mondo.

Nel centesimo anniversario della nascita (1920) e quarantesimo della morte di Gianni Rodari (14 Aprile 1980), ricordo il suo contributo importante alla mia comprensione del mondo.

Le favole a rovescio per capire le contraddizioni del mondo

C’era una volta/ un povero lupacchiotto,/ che portava alla nonna/ la cena in un fagotto./ E in mezzo al bosco/ dov’è più fosco/ incappò nel terribile/ Cappuccetto Rosso,/armato di trombone/come il brigante Gasparone./ Quel che successe poi,/ indovinatelo voi./ Qualche volta le favole/ succedono all’incontrario
e allora è un disastro:/ Biancaneve bastona sulla testa/ i nani della foresta,/ la Bella Addormentata non si addormenta,/ il Principe sposa/ una brutta sorellastra,/ la matrigna tutta contenta,/ e la povera Cenerentola/ resta zitella e fa/ la guardia alla pentola.

Nel 1960 fu la mia maestra della scuola elementare a suggerirmi di leggere questa filastrocca di Gianni Rodari . Era il suo regalo di addio alla fine della terza elementare, perché per la quarta e quinta era prevista un’altra maestra. Ero a scuola dai Padri Gesuiti all’Istituto Arecco di Genova e il fatto che io stessi leggendo un libro scritto da un noto comunista, fondatore di Avanguardia, giornale nazionale della Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI), collaboratore di Paese Sera e dell’Unità, sembrò davvero sconveniente ad alcuni sacerdoti anziani della scuola che se ne lamentarono con mia mamma. La mamma disse che la maestra era stata davvero bravissima a farmi imparare bene a leggere e scrivere fin dall’ottobre 1957, quando ero entrato in prima elementare appena compiuti i cinque anni; aggiunse che io sentivo la maestra come una seconda mamma, e quindi lei si fidava pienamente della maestra. Allora il sacerdote che insegnava religione se ne lamentò con mio padre, facendogli presente che alcune parrocchie avevano bruciato nei loro cortili i precedenti libri di quell’ex-maestrino comunista di provincia.
Mio padre, nato nel 1920 e dunque coetaneo di Rodari, fece notare che lo scrittore di filastrocche per bambini non poteva essere davvero quel diavolo che si diceva in chiesa, visto che era stato presidente di una sezione giovanile dell’Azione Cattolica. Mio padre era stato un giovanissimo arruolato volontario come pilota di caccia-ricognizione dell’Aeronautica Militare durante la Seconda Guerra Mondiale, poi passato ai partigiani poco prima dell’8 Settembre. Secondo lui, nell’educazione dei bambini e dei giovani dell’adolescente repubblica italiana c’era davvero bisogno di un po’ di pensiero indipendente e di pensiero laterale, per evitare che la prima generazione nata dopo il fascismo ripetesse gli stessi errori della generazione precedente, che si era lasciata abbindolare dagli slogan e dalle false verità del ventennio fascista, con risultati disastrosi per tutti gli italiani.
Fu così che, a partire da quelle “favole a rovescio” lasciatemi come ricordo della mia prima maestra, mi innamorai di Rodari e continuai poi a leggere molti altri suoi scritti. Cercavo i suoi pezzi, filastrocche e fumetti, sulla rivista “La Via Migliore” che arrivava a scuola e nell’enciclopedia “I Quindici”. Non c’era Google a quell’epoca e la voglia di scoprire il mondo attorno a noi si doveva affidare al tramite dei divulgatori per ragazzi come Rodari, il quale lo faceva anche in modo scanzonato, che ispirava il nostro immaginario, diverso dalla realtà, ma collegato ad essa.

Mentre io crescevo Rodari era divenuto molto noto in Italia e tradotto in molte altre lingue. Nel 1970 vinse il premio letterario Andersen, il più ambito per la letteratura per ragazzi. Io non smisi di leggerlo nemmeno da giovane adulto. A 25 anni ottenni il mio primo lavoro come insegnante di scienze in una scuola media e usavo alcune filastrocche di Rodari per alleggerire un po’ le lezioni e presentare gli aspetti divertenti ma istruttivi della natura e delle scienze. Nel 1979, completavo i miei studi di sviluppo rurale presso il Natural Resource Ecology Laboratory della Colorado State University, con una borsa di studio Fulbright. Nel tempo libero continuavo a leggere il mio autore preferito e scoprii una caratteristica di Rodari non comune per quel tempo: la sua forte vocazione ambientalista. Nella filastrocca “Un signore maturo con un orecchio acerbo” , Gianni Rodari, espresse in poesia un appello originale per lo studio e la protezione dell’ambiente, inteso non solo come la Natura necessaria per la vita umana, ma anche come una vera e propria dichiarazione dei diritti di tutti gli esseri viventi, le piante e gli animali.

La morte di Rodari in un giorno felice

Fu così che, compiuti 27 anni, mi venne la voglia e trovai il coraggio di scrivere il mio primo saggio sulle relazioni tra fame e malnutrizione nel mondo, habitat e baraccopoli, diritti dell’acqua, in un libro che voleva mettere al centro le persone in un processo di trasformazione delle relazioni tra umanità e ambiente. Lo chiamai “Poveri oggi, poveri domani”. Ci lavorai per nove mesi nel tempo libero dall’insegnamento a scuola a Genova e dalla mia ricerca con il Consiglio Nazionale delle Ricerche, facendomi aiutare nella revisione e editing da un amico esperto di quei temi, Pierino Grossetti del Sermig di Torino. Ma era un grosso problema trovare un editore disposto a pubblicarlo, essendo io un autore giovane che non aveva mai scritto un libro prima di quello. Fu Grossetti a suggerirmi di chiedere all’editore di opere per ragazzi LDC di Torino. Non conoscendo nessuno presso quell’editrice, inviai una lettera per posta con un capitolo del libro. Con mia grande sorpresa mi risposero positivamente. Proposta approvata al primo tentativo! Ero contentissimo. Misero il libro in produzione e mi telefonarono a inizio Aprile 1980 annunciandomi di aver finito il lavoro. Ero così impaziente di vederlo che decisi di non aspettare la spedizione per posta e andai in treno a ritirare le prime copie a Torino il 14 Aprile. Era un lunedì, la sera stessa stavo tornando felicissimo a Genova con il mio primo libro nuovo fiammante. Non vedevo l’ora di presentarlo a mia mamma, alla quale il libro era dedicato, e presentarlo ai miei studenti a scuola. Mentre ascoltavo alla radio i commenti della partita Genoa-Atalanta giocata il giorno prima, a sorpresa nel giornale radio diedero la notizia della morte improvvisa di Gianni Rodari a Roma nel pomeriggio. La coincidenza di due novità così grosse per me mi fece riflettere. Cercai poi le ultime opere scritte da Rodari prima di morire, che erano dedicate all’uguaglianza di tutti gli esseri umani, la nonviolenza, i diritti umani, il pacifismo. Divennero i temi che poi trattai in altri 25 libri che ho scritto fino ad oggi.

Cooperazione Nord-Sud con le mani nelle mani, sui paralleli e sui meridiani.

Sapevo a memoria la frase di apertura della costituzione del Concilio Vaticano II Gaudium et Spes, sulla chiesa nel mondo contemporaneo “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angoscie degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto, e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angoscie dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. Mi sorprese la completa coincidenza di quelle aspirazioni con l’umanesimo laico di Rodari che parlava spesso di diritti dei popoli, soprattutto dei popoli poveri, mentre raccontava -proprio come la Gaudium et Spes- la vita di tanti bambini con le loro gioie e le loro speranze, le loro comuni angoscie e le loro lotte. Nella famosa filastrocca “Girotondo di tutto il mondo” Rodari scrisse:
Filastrocca per tutti i bambini,/ per gli italiani e per gli abissini,/ per i russi e per gli inglesi,/ gli americani ed i francesi,/ per quelli neri come il carbone,/ per quelli rossi come il mattone,/ per quelli gialli che stanno in Cina/ dove è sera se qui è mattina,/ per quelli che stanno in mezzo ai ghiacci/ e dormono dentro un sacco di stracci,/ per quelli che stanno nella foresta/ dove le scimmie fan sempre festa,/ per quelli che stanno di qua e di là,/ in campagna od in città,/ per i bambini di tutto il mondo
che fanno un grande girotondo,/ con le mani nelle mani,/ sui paralleli e sui meridiani.

Il surrealismo di Rodari per coniugare la semplicità del quotidiano ai voli della fantasia.

Alla fine del 1979, su incarico dell’Auxilium Caritas di Genova, avevo aperto all’interno del porto, allora il più grande del Mediterraneo, il primo centro di accoglienza per migranti senza documenti. Erano chiamati clandestini, perché nascosti nelle grandi navi da trasporto, sbarcavano clandestinamente di notte nel porto senza permesso e saltavano i muri che allora separavano l’area degli ormeggi dal centro storico della città, entrando così in Italia senza visto e senza essere visti. Il Generale dei Carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto anti-terrorismo di Genova, ci aveva concesso alcuni locali della Guardia di Finanza per creare un centro di ascolto.
Sul muro del nostro centro, che fu il pioniere di centinaia di altri centri per stranieri aperti nei seguenti quarant’anni in ogni parte d’Italia, attaccammo un manifesto con una poesia di Rodari sui migranti:
Non è grossa, non è pesante/ la valigia dell’emigrante/ C’è un po’ di terra del mio villaggio,/ per non restar solo in viaggio./ Un vestito, un pane, un frutto/ e questo è tutto./ Ma il cuore no, non l’ho portato:
nella valigia non c’è entrato./ Troppa pena aveva a partire,/ oltre il mare non vuole venire./ Lui resta, fedele come un cane,/ nella terra che non mi dà pane:/ un piccolo campo, proprio lassù./ Ma il treno corre: non si vede più.

In pochi mesi, il primo centro italiano per stranieri generò interesse alla neonata Caritas Italiana a Roma. Su suggerimento di Mons. Piero Tubino, direttore dell’Auxilium Caritas di Genova, il presidente della Caritas Italiana Mons. Giovanni Nervo e il segretario generale Don Giuseppe Pasini mi invitarono a Roma, per proporre di affidarmi il nuovo settore di cooperazione con il Terzo Mondo. A fine luglio andai a Roma a conoscerli e portai loro una copia del mio libro appena uscito che trattava appunto temi di solidarietà internazionale.
Era un regalo che avevo pensato come cortesia per scusarmi di dover rifiutare la loro offerta di lavoro, dato che per Settembre 1980 era prevista la mia partenza per un altro anno di studio e lecturing a Washington DC negli Stati Uniti con una generosissima borsa di studio del Rotary International. A casa mia a Genova, mia moglie ed io avevamo già preparato il trasloco, e i pacchi delle nostre cose avevano tutti l’etichetta per la nuova residenza a Chesapeake Bay in Virginia. Pur sapendolo, Mons. Nervo e Don Pasini mi fecero un’intervista chiedendomi della mia visione della cooperazione con il Terzo Mondo. Risposi che, come scritto nella Gaudium et Spes, la vera cooperazione Nord-Sud doveva divenire un gioioso “girotondo di tutto il mondo”. Sorrisero della mia risposta, facendomi notare che quella definizione nella Gaudium et Spes non c’era proprio. Era invece una filastrocca di Rodari, ma loro erano d’accordo sul fatto che le due visioni si potevano unire efficacemente.
Mi convinsero ad accettare la sfida a divenire a soli 28 anni il capo della cooperazione internazionale di un’agenzia, che allora era la più grande in Italia in quel settore. L’offerta salariale era solo un terzo della borsa di studi negli Stati Uniti, ma le etichette sui pacchi furono cambiate in un batter d’occhio e a Settembre 1980 giunsi a Roma. Passati due mesi, dopo la grave crisi del terremoto in Irpinia nel Novembre 1980, il settore Terzo Mondo della Caritas nacque creando un nuovo diario per le scuole dal titolo “Diario di un mondo solo” che recava in copertina un girotondo di bambini, una rubrica mensile di educazione alla mondialità chiamata “Dai poveri si impara”, una grande iniziativa di gemellaggi internazionali tra parrochie d’Italia e villaggi del Terzo Mondo, chiamata “Microrealizzazioni”, lanciata come un modo per abbracciarre popoli più poveri e tenersi per mano a distanza, come suggerito da Rodari. Nel 1981 il mio primo anno di lavoro alla Caritas Italiana, scrissi “Terzo Mondo Profeta” un saggio che analizzava l’impatto della cultura surrealista, compresa l’opera poetica di Aimé Césaire, la ricerca psico-patologica di Frantz Fanon e le innovazioni economiche proposte da Gunnar Myrdal, uno dei fondatori del Manifesto Umanista. Il mio più grande progetto di soccorso umanitario e ricostruzione, gestito dalla Caritas tra il 1984 e il 1988, fu il progetto di soccorso in Eritrea e in Etiopia a seguito della grave carestia causata dalla siccità e dalla guerra. Fu finanziato con 26 miliardi di lire raccolti da una sottoscrizione popolare di piccoli contributi tra mille e diecimila lire l’uno. Il progetto di costruzione di dighe e pozzi davvero mise in comunicazione gli italiani e gli abissini, con l’aiuto dell’aeronautica russa, inglese, americana e francese, proprio come Rodari aveva sognato nei primi versi della sua filastrocca del girotondo per tutto il mondo.

Un grazie per lo staccapanni e per lo scannone

Il metodo più diffuso negli anni ’80 per fare fund-raising a livello popolare era la raccolta di vestiti usati che le Caritas diocesane organizzavano in tutto il paese. Si trattava di convincere la gente a vuotare gli armadi dei vestiti vecchi non più in uso e metterli in un cassonetto apposito per le strade. I vestiti usati venivano distribuiti ai più poveri se in buono stato, oppure venduti a imprese di riciclaggio del tessile per ricavare fondi per i progetti di solidarietà. In una sua favola “Il paese con l’esse davanti” Rodari aveva immaginato le innovazioni possibili aggiungendo una esse a tante parole: “…Abbiamo la macchina “sfotografica”, che invece di fare le fotografie fa le caricature, così si ride. Poi abbiamo lo “scannone”. Brrr, che paura! Tutt’altro. Lo “scannone” è il contrario del cannone e serve per disfare la guerra. E come funziona? È facilissimo, può adoperarlo anche un bambino. Se c’è la guerra, suoniamo la stromba, spariamo lo scannone e la guerra è subito disfatta. Che meraviglia il paese con l’esse davanti”.
Tra gli altri neologismi di Rodari in quella favola c’era anche lo “staccapanni”, che Rodari descriveva così: “Col nostro staccapanni è tutto diverso. Lì non bisogna attaccarci niente, c’è già tutto attaccato. Se avete bisogno di un cappotto andate lì e lo staccate. Chi ha bisogno di una giacca, non deve mica andare a comprarla: passa dallo staccapanni e la stacca. C’è lo staccapanni d’estate e quello d’inverno, quello per uomo e quello per signora. Così si risparmiano tanti soldi”.
Provammo dunque ad usare quella parola per la raccolta degli abiti usati e fu un grande successo. Ancora oggi, quarant’anni dopo, la parola staccapanni fa parte del parlato quotidiano della solidarietà ai barboni e ai senzatetto in tante città italiane.
In quella favola c’era un’immensa intuizione e una brillante ispirazione per risolvere le sfide del cambio d’epoca che stiamo vivendo: lo scambio di beni e di servizi, la cooperazione per ridurre le disuguaglianze dentro e tra le nazioni. Per questi ideali nel 1988 andai a lavorare all’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS) in Africa e poi alle Nazioni Unite in quattro continenti, dove restai 22 anni per cercare di “disfare” la guerra e i conflitti in tanti paesi. Che a spararci addosso fossero i ribelli del Congo o i narcotrafficanti in Colombia, mi sono sempre sentito protetto da strumenti più potenti come il mio scannone, portatore di pace, di giustizia, di sviluppo sostenibile. Grazie, Gianni Rodari!

Sandro Calvani, Bangkok, Aprile 2020.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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