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È il contenuto che vale. Dal computer all’automobile…

Se l’automobile è tornata a essere una tecnologia interessante lo si deve al contesto che la sfida a diventare connessa, sostenibile, autonoma: cioè all’esplosione dell’economia della rete, alla necessità di contribuire in modo decisivo alla qualità dell’ambiente, alle opportunità offerte dalla robotica, dall’intelligenza artificiale, dai big data… Insomma: l’auto dell’elettronica diventa anche un computer connesso che fa cose straordinariamente più avanzate, seguendo modelli di business rinnovati e con tecnologie dense di conseguenze.

Se assomiglia in un certo senso al computer, può essere che anche la sua filiera del valore tenda ad assomigliare a quella del computer? Se è così, i costruttori si trovano di fronte a scelte importanti. Fare come Apple che disegna tutto, anche le componenti essenziali (per poi magari offrire liberamente l’accesso ai brevetti come fa Tesla)? O fare come gli assemblatori che portano sul mercato l’innovazione fondamentalmente prodotta da altri? Un’inchiesta del Financial Times (accesso a pagamento o via Google “Carmakers face threat from new drivers of profit”) ricorda che nel 1999 GM ha spinoffato il suo business per la produzione di parti di automobile pensando che il valore aggiunto fosse nell’assemblare le componenti e portarle sul mercato e ora scopre che non è andata proprio come pensava. In borsa, il rapporto prezzo utili dei produttori di componenti di qualità (tipo Bosch, Valeo, Continental, dice FT, ma anche Brembo e altri ovviamente) è intorno a 13, contro il 7 degli assemblatori. Che a loro volta sono superati in borsa da Telsla che evidentemente convince di più di loro per quanto riguarda il futuro.

Certo, la situazione è più complessa di quanto sembri. Anche perché le componenti delle auto sono diverse e hanno diversa importanza anche dal punto di vista tecnologico. Un tempo si poteva immaginare che fabbricare macchine fosse un affare per pochi colossi tecnologici destinati al consolidamento e a investire massicciamente nella forza di brand apprezzati dai consumatori. Oggi alcune cose diventano meno importanti (fare i motori nel mondo dell’elettrico non è più un problema come del resto fare i cambi, che più o meno non esisteranno più) e altre crescono (modelli di accesso al servizio di trasporto diventano più importanti dei modelli di vendita di automobili): ma il brand dell’assemblatore non sembra tra le cose che diventano più importanti. Ovviamente questi lo sanno e stanno tentando di correre ai ripari. Ma le cose non torneranno come prima. E le piattaforme software, i sistemi operativi, le batterie, le piattaforme di accesso e localizzazione, verranno probabilmente da esperienze esterne a quelle del mondo dell’auto. Nel medio termine tutto questo avrà grande importanza, nel breve apparirà forse meno rilevante. I produttori hanno tempo per pensare. E fare. Secondo alcune stime ci sono in giro 1.7 miliardi di auto e se ne vendono 100 milioni all’anno di cui solo una quota sono relative ai cambiamenti di cui si è parlato: dunque si parla di 30 anni di tempo per operare una mutazione completa dell’automobile. E ovviamente è soltanto un’ipotesi.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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