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La classe dirigente sfiduciata

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Il concetto stesso di classe dirigente è travolto dalla disperante distanza che si coglie in occidente tra le aspettative e la realtà. È la conseguenza della grande trasformazione che genera timori e reali difficoltà alla popolazione. Ma è anche un’implosione, visto che le classi dirigenti incapaci di rispondere alle difficoltà vissute dalla popolazione e poste dalla grande trasformazione hanno tenuto il potere promettendo cose che non hanno mantenuto. Manipolando media che hanno perso a loro volta credibilità. E assorbendo nella loro caduta sia la politica che l’economia. Come mostra il rapporto Edelman sulla fiducia nelle istituzioni. Che in realtà è una sfiducia impressionante.

Che cosa dice questa storia? Che il vecchio sistema è in via di estinzione. Ma non è per nulla chiaro quale può essere il nuovo sistema.

Per adesso, in questa fase di transizione, le popolazioni credono a piattaforme che funzionano apparentemente in modo controllato dagli utenti. Ma se queste piattaforme non sviluppano un sistema per generare informazione di qualità, critica e documentata, non semplicemente gratificante per le echo-chamber, rischiano di perdere efficacia rapidamente. La chance non è certo quella di abbarbicarsi alle “autorità” del passato (tre quarti della popolazione non ci crede più). Ma probabilmente è necessario costruire sistemi di discernimento adatti alla contemporaneità. E a questo vale la pena di dedicarsi.

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  • Non so se la duplice ricorrenza delle parole “La grande trasformazione” nelle prime righe sia un suo omaggio al’omonimo capolavoro di Karl Polanyi, ma a leggerlo mi è tornato in mente quel meraviglioso testo del 1944. Un libro su cui ho imperniato la mia tesi in filosofia ormai 5 anni fa e che mi ha spinto, più o meno direttamente, a voler (cercare di) fare il giornalista. Mi scuso per il lungo preambolo, ma era per inquadrare e inquadrarmi nella sua stimolante riflessione.
    Che lo scollamento tra classe dirigente e popolazione sia immenso, in occidente, è un fatto assodato. Ricercare un colpevole o una sola “causa” è esercizio tanto futile quanto pretenzioso. Per molti è colpa della globalizzazione, che al netto di pochissimi (in percentuale relativa) fortunati avrebbe invece falcidiato la classe media occidentale. Per altri sarebbe invece colpa di classi dirigenti sorde, cieche e avide. C’è del vero in tutte e due le ipotesi, ma da sole non bastano. Un intero modello di economia, di società e di democrazia rappresentativa si sta sgretolando come se fosse fatto di sabbia. In questa fase di “grande trasformazione”, il fracasso e la vistosità degli effetti del cambiamento stanno come coprendo e oscurando le dinamiche essenziali. Un sistema sta crollando, ma non si scorge ancora all’orizzonte quale sarà il prossimo.
    Le piattaforme partecipative sono una grande risorsa, potenzialmente. Ma concordo con lei sul fatto che non debbano essere solo casse di risonanza, altrimenti diventano strumenti eterodiretti che dietro la facciata della “democrazia diretta” celano progetti di dubbia finalità. L’informazione critica e di qualità, anche e soprattutto in una fase di grande trasformazione, dovrebbe essere un faro che eviti alle navi di centrare gli scogli. La perdita di credibilità dei media “tradizionali” va a braccetto con lo scollamento tra classe dirigente e popolazione: questo accade, in generale, in tutto il mondo occidentale. In Italia ciò è semmai ancora più evidente perché, dai giornali ai telegiornali, l’intreccio tra economia, finanza e politica ha prodotto mostri e cortocircuiti sia a livello proprietario e di governance che a livello giornalistico in senso stretto (scelta e gerarchizzazione delle notizie). Convincere le persone che serve un’informazione di qualità e criticamente e dialetticamente strutturata, nel nostro Paese, la ritengo un’impresa titanica. Ma va comunque tentata.

    • Certo che è per Polanyi…! E la ringrazio di averlo notato. Come la ringrazio del commento in generale: la pensiamo allo stesso modo…

Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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