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Torino. Open data: meglio la trasparenza

L’apertura dei dati della pubblica amministrazione è una tendenza storica ineluttabile, è una decisione della Commissione Europea, è una politica di diverse amministrazioni comprese molte italiane. Ma è anche una pratica complessa che richiede attenzione e impegno, mentre la domanda di dati evolve.

In questo momento è in corso #Pa140 un meeting importante sugli open data. Organizzato dal Consiglio regionale del Piemonte. La mattinata è stata dedicata allo studio della cultura open nelle sue diverse sfaccettature con Juan Carlos De Martin, Guido Romeo, Maurizio Napolitano, Paolo Ciuccarelli e Federico Morando. Nel pomeriggio verranno premiati i vincitori del Piemonte Visual Contest, concorso ideato per la realizzazione di infografiche e data visualization a partire da dati pubblici rilasciati dalla Regione Piemonte.

Questa mattina i relatori hanno mostrato i molti aspetti dell’argomento. Non riassumo per la ricchezza dei contenuti ascoltati. Ma mi porto a casa alcune considerazioni.

1. La spesa necessaria ad aprire i dati non è necessariamente superiore alla spesa che sosteniamo per tenerli chiusi. In termini di cittadinanza, contrasto alla corruzione, conoscenza attiva di tutti per favorire decisioni consapevoli sulla convivenza, i dati aperti sono un’occasione di rilancio, di risparmio, di qualità. E le imprese che possono nascere intorno alla disponibilità dei dati sono più che una promessa.
2. La cultura dei dati è una sfida alle pubbliche amministrazioni perché le espone alla possibilità di prendere decisioni basate sui fatti. Il giornalismo, gli attivisti, i cittadini impegnati e un po’ tutti possono usare i dati per imporre punti di vista più motivati di quelli che vengono di solito proposti solo sulla base di posioni preconcette, sospetti, ideologie.
3. La cultura dei dati è una possibilità per i cittadini che ha un valore immenso. Se Wikipedia ha dimostrato che la partecipazione alla conoscenza di molte persone impegnate può generare uno strumento denso valore, OpenStreetMap fa altrettanto per i dati geolocalizzabili, per arrivare a mappe ricche di qualità per la vita quotidiana.
4. Il giornalismo si attiva in modo straordinariamente fecondo quando può tornare a basarsi sui dati. E finisce per avere nuovamente una funzione propulsiva per la cultura.
5. L’accesso aperto ai risultati della ricerca scientifica ripropone in una luce contemporanea il percorso di accumulazione collaborativa della conoscenza immaginato all’epoca dell’illuminismo e può rimodellare il ruolo delle università per la società che sta emergendo dalla grande trasformazione attuale.
6. Il design lavora per consentire di accedere ai dati contestualizzandoli in modo che i cittadini possano riconscerne il senso e passare all’azione si candida a diventare una disciplina centrale delle digital humanities che riconnettono le due culture separate del passato in una nuova strada di ricerca adatta a un’epoca che chiede, per essere interpretata, un orietamento alla fusione delle vecchie culture scientifica e umanistica.

I problemi sono molti. L’apertura dei dati contiene il rischio che quando le persone sanno come stanno le cose comincino a chiedere qualcosa che le amministrazioni non possono proporre. Ma questo rischio è inferiore all’opportunità offerta dalla trasparenza, purché si trasformi nella modernizzazione civica del sistema decisionale. La storia non si ferma: ma va interpretata. E questa discussione è un modo per scoprire pensieri che servono alla necessaria interpretazione della trasformazione che stiamo vivendo.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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