Sull’Economist di questa settimana, c’è un passaggio a proposito della politica spagnola che fa pensare. Si dice che, secondo un funzionario del governo iberico, la Spagna è favorita nella gestione della crisi dal fatto che la sua amministrazione potrà lavorare per quattro anni senza elezioni. Insomma, gli spagnoli potranno prendere decisioni di rigore senza il timore di essere sanzionati dal voto. Evidentemente, questo giudizio implica che la democrazia può anche essere il miglior sistema per decidere chi comanda, ma non per prendere le decisioni più gravi. Il sottotesto è chiaro: il popolo non sa scegliere per il suo bene, può solo affidare a qualcuno il compito di farlo al suo posto. Il che peraltro significa che la democrazia è sempre esposta al rischio che il populismo emotivo di breve termine prevalga sulla visione razionale di lungo termine.
Il caso della popolarità del governo Monti in Italia nei suoi primi mesi alla guida del paese ha smentito almeno in parte questa idea. Se avesse potuto, dicevano i sondaggi, il popolo avrebbe votato per Monti perché capiva benissimo che le misure drastiche che il governo prendeva erano per il bene di tutti. Casomai, il governo Monti ha cominciato a non essere più tanto popolare quando ha preso decisioni che non si capivano bene. Che le imprese fossero autorizzate a licenziare per motivi economici anche nel caso che i motivi economici fossero ingiustificati, obiettivamente, non si capiva. Anzi, quella formulazione generava un’ansia e un’allarme che favorivano l’emergere di comportamenti irrazionali ed emotivi.
Esiste ovviamente un modo per raccontare bene le cose, tale che le renda comprensibili. Tanto per fare un esempio si sarebbe potuto dire: “ho fatto un viaggio nel mondo e ho scoperto che c’è una fila di aziende che vogliono venire in Italia a investire e creare posti di lavoro; il fatto è che vogliono creare posti di lavoro in un contesto di regole simili a quelle vigenti nei loro paesi d’origine, o almeno simili a quelle della maggior parte dei paesi paragonabili all’Italia; vogliono cioè sapere che fine faranno i loro investimenti e questo dipende dalla certezza del diritto e dalla convenenza; questo significa che preferiscono investire nei paesi dove sanno di poter decidere in modo veloce le assunzioni e i licenziamenti; ecco perché dobbiamo riformare il nostro diritto del lavoro”. Forse questo avrebbe spiegato meglio la riforma? Può darsi.
Sta di fatto che ci sono sempre elementi emotivi ed elementi razionali nelle decisioni, comprese quelle collettive. E l’organizzazione di un popolo dovrebbe essere fatta in modo da equilibrare gli effetti delle varie tensioni.
Esistono per questo dei supporti strutturali al racconto del sistema decisionale che lo rendono più comprensibile. Il messaggio implicito nella struttura della democrazia rappresentativa dice che chi prende più voti governa; ma il messaggio implicito nella struttura della repubblica dice che la democrazia deve essere regolata in modo che la maggioranza possa governare senza abusare della minoranza e incentiva un comportamento orientato al perseguimento del bene comune.
Ora, nell’epoca di internet, ci si potrebbe domandare come cambiano le strutture di coordinamento collettive, democratiche e repubblicane, con la diffusione di internet. La rete favorisce l’emotività o la razionalità? Il populismo o il ragionamento empirico e informato?
Si deve ammettere che messa così la domanda ha una sola risposta, insoddisfacente: internet favorisce sia l’emotività che la razionalità. Ma c’è un modo per approfondire. Prendendola un po’ alla larga.
L’evoluzione delle neuroscienze e della psicologia sociale, insieme alla riflessione sulle conseguenze dell’internet fissa e mobile, tendono ad avvalorare l’idea che il cervello sia una rete e che l’insieme dei cervelli in rete sia a sua volta una sorta di intelligenza collettiva. Metafore, certo, ma potenti.
Il cervello viene descritto – mi si perdonino le imprecisioni – come una rete di neuroni che si connettono attraveso le sinapsi e che si aggregano in aree più o meno specializzate il cui concerto porta alle decisioni, alle azioni, alle reazioni. Aree evolutivamente più antiche sembrano collegate alle forme emotive e istintive del pensiero, e prendono decisioni automatiche e veloci; altre aree più recenti del cervello appaiono più dedicate alla ragione e servono a sviluppare un pensiero controllato, anche se in genere più lento e forse più innovativo. Alcuni neuroni specializzati poi si comportano come dei connettori con i cervelli degli altri individui. Connettendosi tra loro, i cervelli individuali, ovviamente, contribuiscono ai comportamenti collettivi. E come il cervello individuale si avvale di strumenti per rafforzare le sue prestazioni, anche le reti di cervelli individuali si avvalgono di tecnologie che ne estendono le capacità: tra queste tecnologie, internet e gli strumenti digitali di accesso, memorizzazione, elaborazione, sembrano in grado di far fare un salto di qualità e concretezza all’immagine dell’intelligenza collettiva.
Le piattaforme internettiane – dotate dei loro codici – hanno un’influenza incentivante su certi comportamenti e favoriscono, con i loro diversi design, il coordinamento degli individui in base a forme di pensiero più “emotive” oppure più “razionali”. L’emotività, la passione, hanno a che fare con la velocità di reazione di fronte ai messaggi di allarme e conducono ad attingere a sorgenti di energia umana che altrimenti non si attiverebbero. La ragione, dal canto suo, conduce a confrontare i dati e a interpretarli in base a forme controllate di pensiero.
È possibile che internet favorisca la razionalità oppure l’emotività e l’istinto dell’intelligenza collettiva? Come per ogni domanda a base informatica anche in questo caso occorre rispondere: dipende. Si ha l’impressione che entrambe le ipotesi siano possibili. Si osserva che certe piattaforme incentivano scambi di informazioni più veloci, emotive e “automatiche” (come forse si può dire in certi casi di Facebook) mentre altre piattaforme incentivano scambi di informazioni più controllate (come forse si può dire, in molti casi, di Wikipedia).
Gli strumenti della cosiddetta intelligenza collettiva che servono in
particolare al coordinamento degli individui non sono certo soltanto
quelli che si sono sviluppati su internet. Anche la democrazia e la repubblica sono in un certo senso piattaforme sulle quali si appoggia il coordinamento degli individui. E anch’esse hanno forse qualche conseguenza sulla struttura del pensiero che incentivano. Forse si può dire che la democrazia rappresentativa, almeno nelle sue incarnazioni recenti basate su campagne elettorali strutturate in modo piuttosto populista, è più vicina alle tensioni “emotive”; dovrebbe essere la repubblica, che incentiva il rispetto delle istituzioni in quanto simbolo del bene e del progetto comune, a svolgere la funzione di regolare e controllare il pensiero collettivo che emerge quando è necessario decidere in modo razionale.
In un certo senso, un’eventuale erosione della legittimità delle istituzioni repubblicane apre la strada alle forme populiste della democrazia. Il rispetto per le stesse istituzioni garantisce che la democrazia non possa debordare. Il fatto che il presidente della Repubblica italiana abbia storicamente goduto di un rispetto generalizzato ha aperto la strada alla soluzione trovata recentemente per salvare l’Italia dalle conseguenze delle derive populiste che l’avevano invasa negli ultimi vent’anni.
I simboli del progetto comune favoriscono la ragione, forse, mentre i simboli della competizione di tutti contro tutti per l’attenzione e il successo favoriscono l’emozione? Può essere.
In effetti, il design delle piattaforme, istituzionali e tecnologiche, potrebbe avere una certa tendenza a incentivare di più la ragione o l’emotività nelle decisioni politiche e nei comportamenti collettivi.
Questo avviene in particolare condizionando la circolazione delle informazioni e delle interpretazioni. E internet è diventata parte integrante di questa circolazione. Sappiamo infatti quello che sappiamo in base alla funzione della coscienza. Di questa nozione non si sa poi tantissimo, sia nel caso del cervello individuale sia nel caso delle reti collettive di cervelli. Ma si sa che è collegata alla focalizzazione che il pensiero dedica a certe informazioni e interpretazioni. Le piattaforme influiscono sulle decisioni collettive condizionando la circolazione delle informazioni in modo da far emergere di volta in volta più fortemente i messaggi emotivi o quelli razionali. Le piattaforme che hanno un progetto implicito orientato al breve termine e alla competizione quotidiana tra gli individui fanno emergere con maggiori probabilità le informazioni più emotive; al contrario, nelle piattaforme strutturate in base a un progetto orientato al lungo termine e rafforzato in questo da simboli e tratti culturali profondi e condivisi, emergono con maggiore probabilità i ragionamenti razionali.
Se la piattaforma dichiara che l’informazione è orientata al bene comune perché a ogni passo dichiara che il messaggio va verificato e trattato con rispetto per il pubblico, le decisioni razionali possono avere una maggiore probabilità di emergere nel contesto, comunque maggioritario, dei messaggi emotivi.
Una democrazia che sappia prendere le decisioni gravi, una democrazia che funzioni anche in stato di crisi, una democrazia che riesca a isolare i germi populisti, ha bisogno di un design repubblicano solido, basato su un sistema dell’informazione orientato al bene comune.
In quel modo può essere un sistema da allargare alla gestione di spazi sempre più ampi della vita collettiva, nella chiave della democrazia partecipativa, senza il timore che tutto divenga come una grande assemblea di condominio. E a quel punto, la democrazia partecipativa, attenta al bene comune, può gandidarsi a manutenere e i commons, l’ambiente, la qualità della vita sociale e la profondità culturale di un popolo. E finisce con l’imparare a raccontare un discorso comprensibile, nelle fasi di crisi e nelle fasi di successo del progetto comune.
La maturazione della democrazia partecipativa continua avverrà solo in un contesto rispettoso delle istituzioni comuni e solo in parallelo alla maturazione di piattaforme per la ricerca e lo scambio di informazioni orientate a incentivare l’emergere di notizie documentate, empiricamente verificate, generate con un metodo rispettoso del progetto comune di tutti coloro che per decidere vogliono semplicemente poter sapere come stanno le cose.
Se n’è discusso in parte alla riunione organizzata dalla Fondazione Basso su internet e democrazia. E ci sono vaste tracce di questo discorso nel manifesto per un soggetto politico nuovo. Si accenna all’argomento nel quadro del lavoro della Fondazione Ahref e su Timu. Il lavoro di Nexa in collaborazione con il Berkman Center di Harvard in questo senso è fondamentale. Il centro per i civic media del MediaLab è un’ispirazione.
Una prospettiva interessante: le istituzioni democratiche come piattaforma di collaborazione.
Molto stimolante se confrontato con il contesto storico che stiamo attraversando dove c’e’ assoluta necessità di rivedere i meccanismi fondanti della democrazia, ma soprattutto per assoluta mancanza di proposte e di nuove idee da parte del sistema dei partiti attuali. Ad ogni caso per ottenere dei risultati apprezzabili ci vuole la riscoperta di alcuni valori che sono stati mercificati in questi ultimi decenni a favore di politica spettacolarizzata. Sono convinto che però chi utilizzerà questi suggerimenti, riuscendo ad applicarli al contesto, riuscirà nel difficilissimo compito di cambiare la prospettiva storica. Nel mio piccolo sarò disponibile a supportare coloro i quali faranno loro questa nuova prospettiva perche’ oggettivamente c’e’ bisogno di nuovi modelli di democrazia e quella fondata sulla partecipazione e’ sicuramente una valida altrnativa. Anzi direi che andrebbe estesa anche ad altri campi come quello economico-finanziari che stanno mostrando tutti i limiti.
oggi come oggi ,il pericolo del pop/populismo non è un pericolo,ma un dato reale.la paura veicola maggiormente l’attenzione.
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