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SmallReading – SCIENZA POPOLARE – Conner

More about Storia popolare della scienza Clifford Conner scrive una Storia popolare della scienza per restituire il merito dell’avanzamento della conoscenza scientifica al popolo. È convinto che i grandi e famosi scienziati che hanno fama di aver compiuto le più importanti scoperte debbano molto, moltissimo, alla ricerca silenziosa e nascosta di milioni di persone, artigiani e contadini, cacciatori e raccoglitori, pescatori e costruttori edili, che hanno compiuto un’opera certosina di sperimentazione ed elaborazione di conoscenze le cui conseguenze sono di fatto il fondamento sul quale si sono poi sviluppate le ricerche scientifiche “ufficiali”.

Le conseguenze di questa impostazione sono affascinanti. Come sempre quando ci si pongono domande sul ruolo dell’individuo e il ruolo della società nel determinare il percorso della storia (l’ultimo, indelebile, capitolo di Guerra e pace…). Un labirinto nel quale è sempre intellettualmente piacevole perdersi (per un po’, soprattutto quando occorre curare le opinioni troppo deterministiche).
Uno dei lati più problematici dell’impostazione di Clifford è il complesso delle relazioni tra la cultura di pubblico dominio, la libera circolazione del sapere, le dinamiche sociali, la scienza e la tecnologia. Clifford la vede da un punto di vista piuttosto particolare: gli artigiani, autori della maggior parte delle scoperte tecnologiche fondamentali, tenevano segreto il loro sapere. La divulgazione delle loro conoscenze è stata effettuata da persone appartenenti a ceti superiori, legati al processo di industrializzazione: e di fatto è stata coerente con la strategia di proletarizzazione degli artigiani. I divulgatori e coloro che condividevano le conoscenze si atteggiavano ad amanti dell’umanità, dice Clifford: «La loro liberalità corrispondeva, però, all’ipocrisia dell’economia liberista: i paesi che sono i più convinti fautori del libero mercato sono inevitabilmente quelli che hanno più strumenti per dominarlo». 
È una conclusione parziale, che non fa onore all’impostazione ben più strategica dell’insieme del libro. Ma che conduce a sottolineare un aspetto importante della relazione tra conoscenza e sviluppo economico. Non è infatti vero che esista un solo tipo di trattamento della proprietà intellettuale migliore in ogni epoca e in ogni contesto storico. Non c’è dubbio che l’impostazione scientifica orientata a condividere i risultati della ricerca abbia condotto a importanti avanzamenti della conoscenza. Del resto non c’è dubbio che l’industrializzazione abbia migliorato le condizioni materiali delle popolazioni che l’hanno vissuta. E i privilegi delle corporazioni artigiane hanno effettivamente avuto un ruolo di equilibrio sociale e di sviluppo economico ma hanno anche dimostrato i loro difetti quando si trattava di fare dei salti di produzione di fronte a grandi allargamenti degli orizzonti geoecconomici che richiedevano forti economie di scala. Lo stesso sistema dei brevetti ha dimostrato di funzionare in alcuni contesti come incentivo all’innovazione e di diventare invece un freno in altri contesti.
Si può invece trarre spunto dal libro di Clifford per sottolineare come la conoscenza tecnologica e scientifica avvenga molto più in base a dinamiche sociali ed economiche profonde di quanto non possa mostrare una storia concentrata sui grandi personaggi famosi. Certamente, si può vedere un parallelo tra lo scambio di informazioni che si sviluppa sui media sociali e un possibile avanzamento del’intelligenza collettiva. Così come si può vedere che la conoscenza di dominio pubblico è di fatto il grande humus dell’avanzamento delle conoscenze di una società. Inoltre fa pensare che la proprietà intellettuale sia un valore da pensare non solo in funzione di uno sfruttamento individuale ma anche dal punto di vista sociale: i commons, i brevetti, il segreto industriale sono altrettante soluzioni istituzionalmente valide per il trattamento della conoscenza; nessuna deve prevalere sull’altra in modo integralista, per non chiudere la strada all’innovazione.
(Precedente SmallReading. Sul filo del BookBlogging…)

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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