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I computer vanno più veloci, gli umani vanno più lontano. Internet assume la forma del racconto che ci diamo del futuro

Immersi nelle storie, come direbbe Frank Rose, gli umani tendono a interpretare i fatti in base ai racconti di cui sono capaci. Siamo le nostre narrazioni, dice il neuroscienziato Michael Gazzaniga, perché produciamo continuamente ipotesi per interpretare i fatti in modo da metterli in fila uno dopo l’altro, anche se talvolta questo costringe la realtà entro confini troppo stretti. Certi racconti si rivelano altrettante gabbie mentali. Ma anche questo ha delle conseguenze. I racconti che pervadono il presente spiegano il futuro. O contribuiscono a spiegarlo perché costruiscono le prospettiva in base alle quali i popoli operano le loro scelte fondamentali.

“Homo pluralis” serve a raccogliere i segnali lanciati dai fatti che possono essere considerati come sonde nel futuro, ma serve soprattutto a discutere i modi con i quali quei fatti vengono usati per parlare del futuro, in vista di una possibile rifondazione del nostro approccio al futuro. Non c’è un’interpretazione lineare, a una dimensione, che possa essere soddisfacente: ma di certo c’è che non si torna indietro e che l’impegno più intelligente che ci possiamo prendere è quello di comprendere meglio quello che sta accadendo per trasformarlo in occasione costruttiva.

Gli umani sanno fare qualcosa meglio dei computer: sanno porre domande. Se sono le domande giuste aprono nuove prospettive. Che a loro volta possono avviare nuove narrative: è forse di questo che abbiamo bisogno. Correggere le tendenze collettive, globali, è un’impresa titanica: se sono automatiche come per esempio quelle imposte dalla logica dei cosidetti mercati finanziari il compito sembra impossibile. Eppure l’impossibile – almeno questo lo sappiamo – non è eterno.

Chi ha scritto un capitolo della storia ha sempre coltivato un approccio critico, sviluppando una visione e una pratica, all’insegna dell’idea suggerita dal tecnologo Alan Kay secondo la quale il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo. “homo pluralis” è dedicato ai costruttori del futuro, quelli che non sono concentrati sull’apparenza ma sulla sfida ai limiti del possibile. Indaga intorno alle narrazioni che ingabbiano l’immaginazione e sembrano obbligare l’umanità a stare tra il fideismo tecnofilo e il conservatorismo dell’allarme post-umano. Lascia di lato ogni pratica di previsione. E cerca di interpretare le strutture fondamentali della rete che ne fanno l’alleata più fedele degli innovatori. Non per descriverne le doti salvifiche, ma per suggerire che ha forme ancora inespresse. Ancora da svelare. Il compito è porre domande, comprendere le dinamiche nascoste nelle strutture che gli umani stessi hanno creato, sviluppare nuove narrative liberatorie, porre l’accento sulla consapevolezza delle conseguenze. Distinguere tra ciò che è importante e ciò che è solo interessante. E fare l’ennesimo salto culturale. Ciascuno, insieme. In un approccio ecologico ai media. Perché, anche se i computer vanno più veloci, gli umani possono andare più lontano.

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Luca De Biase

Knowledge and happiness economy Media and information ecology

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