Questo post nasce dal fatto che il nuovo libro di Maurizio Ferraris, Comunismo digitale (Einaudi), si incrocia con il mio Pensare bene (Treccani) in un punto preciso e cruciale.
Non oso fare il confronto tra questi volumi e non voglio apparire arrogante paragonandoli. Ma voglio soltanto far notare un argomento in comune.
In entrambi i libri, il programma strategico parte dalla constatazione che gli europei hanno il diritto di scaricare i loro dati personali dalle piattaforme che usano. È un diritto sottovalutato. Gli europei non lo fanno valere. E si può in fondo anche capire. Gli europei non scaricano i loro dati sistematicamente e massicciamente, anche se ne hanno diritto, perché non sanno bene che cosa se ne potrebbero fare. Chi abbia provato a scaricare i suoi dati conservati su una delle mega piattaforme che miliardi di persone usano tutti i giorni ha scoperto che non sembrano per niente interessanti. E per di più è anche difficile e scomodo scaricarli. Le piattaforme non facilitano i cittadini che vogliano riprendersi i dati. Ma sta di fatto che sono pochi quelli che tentano di farlo.
È ovvio: il valore dei dati personali non esiste in sé ma in relazione a un contesto.
Nel mio libro, questo conduce a costruire un progetto di liberazione dal dominio delle mega-piattaforme attuali e suggerisce la possibilità di costruire molte piattaforme alternative a quelle gigantesche e sfruttatrici che attualmente costituiscono il sistema dei media. Nel libro di Ferraris, questo conduce a una proposta di redistribuzione del valore dei dati, in funzione di un progetto politico che porti a un nuovo, moderno, sistemico e pragmatico comunismo.
Qualcuno potrà storcere uno scettico naso. Due volte. Per il mio libro: a che serve tentare di costruire nuove piattaforme, quando quelle che ci sono hanno conquistato tutto il potere nella dimensione digitale? Per il libro di Ferraris: quali sarebbero le forze che potrebbero mettere in moto il percorso verso il nuovo comunismo?
Non possiamo qui rispondere allo scettico con la dovizia di particolari che si trova in quei libri. Il punto è che a guardare la potenza gigantesca di certe piattaforme, sembra impossibile replicarla. Ma la risposta è semplice: chi ha detto che debba essere replicata? Quello che serve è aprire la mente alla possibilità di costruire alternative a quello che oggi giganteggia. Alternative! Non serve ricordare che quelle che oggi dominano non sono piattaforme antiche, ma piuttosto recenti, e comunque hanno costruito la loro posizione dominante nell’ultimo quarto di secolo. Periodo durante il quale sono nate continuamente nuove piattaforme, anche di grande successo. Tra l’altro solo in Europa mancano tanto clamorosamente le alternative locali: dalla Corea al Giappone, dall’India al Brasile, dalla Russia alla Cina, le piattaforme americane non sono l’unica possibilità. Solo l’Europa ha un livello di sudditanza tanto sproporzionato. Non è detto che si debbano fare altre piattaforme gigantesche, ma è del tutto possibile fare un gigantesco numero di nuove piattaforme. Che facciano quello che le piattaforme industriali attuali non possono fare.
I due libri citati propongono un motivo per considerare la necessità di costruire un nuovo ambiente digitale. E programmaticamente partono da una comune idea: che i cittadini si riapproprino dei loro dati. Ma proprio perché i dati hanno valore in relazione al contesto suggeriscono di occuparsi di arricchire il contesto di alternative. Perché il contesto attuale è molto migliorabile.
I media sono sempre considerati alla fine delle indagini che conducono a programmi di rinnovamento. Forse perché si pensa che siano sovrastrutture, mentre ciò che conta sono le strutture economiche e sociali. Oppure perché si ammette che i cittadini razionali siano in grado di scegliere i media che meglio li possono servire e se non sono soddisfatti ne costruiscano di nuovi. Valutando abbastanza le visioni che possono essere perseguite dai rinnovatori, invece, si può meglio comprendere l’importanza umile e fondamentale dei media. E questo è vero in qualsiasi epoca. Ma nella contemporaneità, le strutture più potenti sono quelle che organizzano la conoscenza, principale fonte del valore e del potere. I media potrebbero meritare di essere più dibattuti. Non per lamentarsene, ma per rinnovarli. Con la convinzione che rinnovando i media si facilita il rinnovamento complessivo della società. E probabilmente il rinnovamento dei media parte dall’alleanza tra i cittadini che possono riappropriarsi dei loro dati e gli innovatori che offrono sempre nuovi modi per usarli in modo libero, consapevole, indipendente: allo scopo di redistribuire il potere che alcuni hanno accumulato con i dati degli altri.
Per approfondire:
Comment sortir de la dépendance numérique ? (Le Grand Continent)



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