Dopo qualche mese di confronto, durante i quali molti importanti inserzionisti pubblicitari hanno boicottato Facebook e altre piattaforme accusandole di non fare abbastanza per contenere la diffusione di falsità e odio online, è arrivato un accordo. Pubblicitari e piattaforme, comprese Facebook, YouTube e Twitter, adottano le stesse definizioni per individuare i post dannosi per la società e le persone. Si creano standard per il monitoraggio della diffusione di fake e odio. Si affidano alcune decisioni ad autorità indipendenti. Si migliorano i sistemi di accesso e gestione dei dati disponibili per i pubblicitari. Le informazioni sono sul sito del WFA.
Finora non si sanno molti particolari. La sostanza è che i pubblicitari vogliono che i loro messaggi non siano associati a pagine in cui ci sono post di odio o falsità. Che cosa faranno le piattaforme per il bene comune, non dunque soltanto per il bene dei pubblicitari, resta poco chiaro. In effetti, Marietje Schaake, ex parlamentare europea che ora insegna a Stanford, dice che il bene comune dovrebbe richiedere l’intervento delle autorità pubbliche: non basta l’autoregolamentazione dei privati.
Ma resta il fatto che la decisione di oggi è strategica. I post che fanno male alla gente sono trattati in modo più preciso, i venditori del servizio si impegnano a ripulire la loro offerta dalle informazioni tossiche, autorità terze vengono incaricate di capire e vigilare. Alla fine, si innesca un percorso per il pubblico che intende battersi per la qualità dell’ecologia dei media: i cittadini potranno protestare contro inserzionisti e piattaforme che non fanno abbastanza per la qualità del contenuto che circola in rete. L’ecologia dei media non è più totalmente in balia dei manipolatori dell’informazione. In una quindicina d’anni siamo passati dalla fiduciosa innovazione digitale alla disperata distruzione della realtà percepita, con la generazione di odio e violenza che lascia società in macerie dal punto di vista culturale, per lanciare una fase di ricostruzione. Le dinamiche del mercato e le decisioni di alcuni capitalisti hanno fatto una parte del lavoro. Stati e comunità devono concluderlo.
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