Sergey Brin, a quanto pare, è l’anima della manutenzione della filosofia “no evil” di Google. Ken Auletta riporta un caso di un paio d’anni fa. Quando in assemblea fu proposta una mozione per chiudere i rapporti commerciali con la Cina, Sergey Brin si astenne mentre gli altri principali leader della compagnia votarono contro, dice Beet.tv. Jessica Vascellaro, su Wsj, in un articolo molto interessante, conferma il ruolo di Brin in questo dibattito interno sulla Cina. Le posizioni possono essere diverse tra i responsabili di Google: fino a che la cultura originaria resterà al vertice e riuscirà a prevalere, Google resterà capace di una credibilità che in caso contrario potrebbe perdere.
Sergey Brin per la manutenzione del “no evil”
Electronic Frontier Foundation approva la decisione di Google. E segnala che questo non significa che i cinesi non potranno più avere Google, anzi. Il problema sarà utilizzare gli strumenti che servono (e che esistono e sono largamente utilizzati come ha dimostrato un servizio di Gabriele Barbati su Nòva di qualche settimana fa). In realtà, Google tornerà ad essere un simbolo di libertà per chi non può accedere senza censure all’informazione. L’amministrazione americana è superd’accordo: il softwpower deve avere i suoi simboli. Dato l’annuncio, comunque, i siti normalmente censurati su Google in Cina sono restati nell’immediato altrettanto censurati, riporta il Sole 24 Ore. La Repubblica deduce che ci sia una sorta di trattativa in corso.
Il Guardian si chiede se Google farà lo stesso in altri paesi nei quali la libertà internettiana è sotto assedio (e cita Francia e Italia). Wsj dice che Google va dalla parte giusta della storia.
Ma il motore della decisione è stato, a quanto pare, l’unilaterale attacco originato dalla Cina ai server di Google, si direbbe alla ricerca di informazioni sui dissidenti. Google si difende anche condividendo i dati sugli attacchi (il che è un altro segnale positivo, segnala Gigi). Il confronto Usa-Cina in materia non è ancora una cyberguerra, ma non è neppure una partita a bridge… Quinta.
Sarò cicnica ma io ho dato una lettura meno idealistica del “no evil”.
Oltre tutto, che questi attacchi siano stati “commissionati” dal governo cinese non c’è alcuna prova.
E poi, chi lo dice che siano solo agli account dei dissidenti? Che invece Google, per non perdere di credibilità sulla privacy di tutti gli account attacacti, non se lo sia inventato, cercando di limtare i danni? In fondo è una multinazionale, non è più Google di anni fa, e ammantarsi di buonismo – come in politica Bob Kennedy con la Guerra del Vietnam e la Guerra fredda, che con lui si sono rafforzate, ma sotto l’egida della “democrazia universale” – per delle operazioni commerciali è una modalità tipicamente statunitense.