L’Italia del fare si prepara alle elezioni assistendo a una polemica su questioni private alle quali non potrebbe essere meno interessata. Repubblica.
01/06/2009 08:59
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L’Italia del fard
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Ma che cos’è poi davvero questa “italia del fare”, che evidentemente si preoccupa di cose serie, distinta dal resto dell’Italia che perde tempo anche di capire come e da chi viene governata ? forse che la prima mitologica italia pensa che per “fare” non si debba mettere in discussione chi comanda ? o che società, valori, immagini, biografie, stili di vita non abbiamo nulla a che fare con l’economia ? Possibile che in una società complessa e post-praticamente tutto si propagandi ancora un’immagine dell’economia come astratto ambito “del fare” contrapposto a tutto il resto? E che cosa sarebbe poi “il resto”, quello che evidentemente è il regno del “non fare”? io credevo di averlo capito leggendo il post precedente: “il resto” pareva una cosa bella, una cosa utile, magari non subito, magari non in forma monetaria, ma utile. Perché “con la fine dell’epoca dell’industrializzazione, l’economia è rientrata in quella più ampia dell’ecologia, della storia e della cultura”. Appunto, credevo di avere capito, l’economia non è solo “fare” ma va guardata anche attraverso le lenti della storia e della cultura, due cose che – per inciso – quando le metti assieme tendono a produrre politica. Ma evidentemente no, quelle devono per forza restare delle considerazioni astratte perché poi, all’atto pratico, “l’italia del fare” non può perdere tempo a preoccuparsi della sua storia presente o di come si sta costruendo la sua cultura nazionale. “L’italia del fare” non deve, evidentemente, chiedersi come vive chi la governa e quali valori esprime con le sue scelte di vita. “L’italia del fare”, evidentemente, è molto pragmatica, guarda ai risultati, non si cura di cosa pensa o come vive chi li produce. E questo anche se “Nell’epoca della conoscenza, il valore si concentra sull’immateriale, sull’immagine, sull’informazione, sulla ricerca, … sul senso dei prodotti e dei servizi. E il senso deriva dalle idee generate dalle biografie delle persone che li fanno, dalla storia dei territori dalle quali derivano, dalla visione dei loro creatori”. Perché tutta questa retorica dell’informazione, della conoscenza, dell’immateriale che rendono liquida e trasparente l’economia in cui dovremmo vivere va bene solo se racconta storia edificanti. Le biografie delle persone che fanno prodotti e servizi, comandano aziende e governano paesi devono interessarci sì, ma solo come agiografia dello storytelling marketing. Se quelle stesse biografie cominciano a raccontare altre storie, storie che il potere lo criticano invece di celebrarlo, “l’italia del fare” è meglio riportarla, docilmente, al suo posto.